Oggi sono ad Oxford invitata dai docenti del Christ Church College e dalla lettrice Chiara che studia lì.
E’ per me un’emozione grandissima, come ho scritto nel mio libro Oxford ha rappresentato la presa di coscienza.
Domattina alle h 10 parlo ad una ascoltatissima trasmissione di BBC radio: Woman’s Hour.
“In Inghilterra tornai tempo dopo e fu un altro degli anni più importanti della mia vita. Ero a Oxford, dove studiavo lingua e letteratura inglese. Non avevo molto tempo per divertirmi, anche se il solo stare in college era un’esperienza incredibilmente eccitante. Uscire dalle gabbie, Oxford fu principalmente questo per me.
I primi tre mesi condivisi la camera con Birna, una ragazza gentile e biondissima: veniva da Akureyri, in Islanda, e diventò ben presto una delle mie migliori amiche. Attraverso di lei scoprii con stupore che fuori dall’Italia la vita delle donne era diversa e, a me pareva, per certi versi migliore. Non c’era, lo capivo dai racconti di Birna, quella separazione di giudizio che distingueva i comportamenti maschili da quelli femminili. La libertà, anche sessuale, era un dato di fatto, e maschi e femmine godevano di uguale indipendenza fisica e mentale. Feci mio da subito quel modo di pensare: esisteva e, dato che mi corrispondeva, potevo appropriarmene.
Mesi dopo, il posto di Birna fu preso da Farzaneh, una ragazza persiana figlia di uno stretto collaboratore dello scià. Fin dall’inizio la nostra amicizia fu completamente diversa, ma non meno interessante: mi portò una grande consapevolezza del mio corpo e della mia preziosa differenza dall’uomo.
Farzaneh era apparentemente meno libera di Birna, ma era anche molto più consapevole del proprio femminile inteso nel senso più profondo. Mi colpiva la cura con cui si pettinava e si vestiva: sembrava di partecipare a un rito che nulla aveva a che fare con la sottomissione allo sguardo e al compiacimento maschili.
Nell’ottobre di quell’anno in Persia scoppiò la rivoluzione che avrebbe portato al regime khomeinista. Ero in camera con Farzaneh quando la madre le telefonò per comunicarle che non sarebbe potuta rientrare a Teheran: suo padre era in prigione ed erano tutti in pericolo, stavano scappando negli Stati Uniti, dove avevano dei parenti. Appena possibile, le avrebbero fatto sapere dove si erano rifugiati. Farzaneh pianse tutta la notte, io le stavo vicina.
Milano e la mia quotidianità mi parevano lontani. Odiavo già allora le convenzioni alle quali le donne dovevano sottostare – in particolare noi ragazze –, il peso del giudizio degli altri. “Cosa dirà la gente?” era il Leitmotiv che ci risuonava costantemente nelle orecchie. Io, intanto, sperimentavo l’indipendenza e la possibilità di esistere a modo mio. La vita era una scoperta, una sorpresa, continua.”
Tratto da: Il corpo dellle donne, Ed. Feltrinelli