natasha-walter-web_335Natasha Walter è una giornalista inglese, una delle principali voci del femminismo britannico degli ultimi dieci anni, a detta del Guardian. Autrice nel 1998 di “The New Feminism”, dopo anni di attività
giornalistica, in cui si è occupata di temi che vanno dalla prostituzione alla pornografia, dalla parità salariale
al congedo parentale, ha pubblicato ora un libro intitolato “Living Dolls. The return of sexism” (Virago Press,
2010)
.

Rispetto al primo libro, nel quale Walter aveva ottimisticamente previsto che il cammino verso una più completa parità fosse ormai una strada in discesa, che si fosse entrati in un circolo virtuoso nel quale le donne non dovevano più preoccuparsi della cultura sessista, ma semplicemente continuare la battaglia politica per una parità vista come ormai a portata di mano, il nuovo libro parte dalla constatazione da parte dell’autrice di aver fatto, dodici anni fa, una valutazione sbagliata. Dice Walter, in un’intervista al Guardian:
“Il sottotitolo del libro è “Il ritorno del sessismo”, e mentre non ritengo che il sessismo sia mai scomparso,
bisogna ammettere che oggi è più forte che in passato.” All’origine dell’idea del libro, racconta l’autrice, c’è
la mail di una ragazza di 17 anni, in risposta a un suo breve articolo sulle riviste per uomini, un articolo al
quale le risposte erano state sorprendentemente più numerose del previsto. La ragazza le aveva scritto che
aveva ormai cominciato a credere di dover accettare in silenzio che i suoi amici guardassero un film porno
facendo commenti sulle attrici davanti a lei, senza poter dire nulla, pena il venire etichettata come la solita
puritana. La cosa sorprendente per Walter è notare come le ragazze che provano a opporsi a questo tipo di
mentalità vengano prese in giro, quando non addirittura isolate. Una situazione completamente rovesciata
rispetto ai tempi delle battaglie femministe degli anni ’70.

“The New Feminism” era stato accolto con poca simpatia soprattutto da parte di molte femministe che si
erano sentite insultate da quell’aggettivo, “nuovo”. Le divisioni e gli attacchi, anche personali, non sono
stati facili allora, con le accuse di “superficialità post-politica”, di banalità. Walter ritiene di non essere stata
capita, allora, nel suo intento di far parlare la gente dei motivi per cui le donne sono più povere degli
uomini, non guadagnano altrettanto, mentre l’interpretazione di molti era stata che il libro trattasse del
diritto di portare il rossetto. La fede dell’autrice nel movimento femminista, scossa da quelle polemiche, è
rinata in lei con l’avvio di una campagna a favore delle donne rifugiate politiche, nel 2006, una causa che le
ha permesso di ricollegarsi alle istanze profonde e centrali del femminismo, quelle delle battaglie per i
diritti civili.

“Living Dolls” consta di due parti. La prima è dedicata a un’analisi di fenomeni come l’aumento della
prostituzione e dei locali dove un numero sempre maggiore di ragazze lavorano come ballerine di lap o pole
dance. Ci sono interviste, ci sono storie di donne, dalla ballerina alla divorziata che si prostituisce. La scena
con cui comincia il libro: in un night club, decine di ragazze in pantaloncini e tacchi a zeppa partecipano a
un concorso per diventare modelle “glamour”, che vuol dire comparire praticamente nude sulla copertina
di qualche rivista per uomini, e che dicono “lo faccio perché la mia mamma sia fiera di me”. E la
competizione consiste nel mettersi in posa, magari a carponi, su un letto al centro del locale, circondate da
una folla di uomini urlanti, o nel togliere il reggiseno e scuotere il seno. Scrive Walter, in un articolo sul
Daily Mail: “Come ho visto con i miei occhi quella sera al nightclub Maihem, e come si può vedere ogni sera
nei club di tutta la Gran Bretagna [sempre più numerosi, da poche decine negli anni ’90 a oltre 300 nel
2008, NdT], immagini che la generazione precedente trovava degradanti per le donne, oggi sono viste
sempre più spesso come divertenti o addirittura come qualcosa a cui aspirare. Per più di 200 anni le
femministe hanno criticato il modo in cui immagini artificiali della bellezza femminile vengono presentate
come un ideale al quale le donne dovrebbero aspirare. Eppure, lungi dall’essere scomparsi, questi ideali
sono oggi più potenti che mai. E quel che è peggio, l’immagine di perfezione femminile alla quale,
attraverso gran parte della nostra società, le donne sono incoraggiate ad aspirare, è sempre più definita in
termini di attrazione sessuale. Chiaramente il desiderio di essere sessualmente attraenti è sempre stato e
sarà sempre un desiderio naturale per uomini e donne. Ma in questa generazione viene celebrata
soprattutto una certa immagine della sessualità femminile, definita nei termini in cui la vede l’industria del
sesso. Si è ristretto il senso di cosa significa essere sexy, ormai ridotto ad essere magre con seni enormi, e
ciò deriva dal fatto che l’industria del sesso è passata dai margini al centro della nostra società.”

Molti oggi vogliono vedere la cultura ipersessualizzata che ci circonda come un segno proprio di quella
liberazione della sessualità femminile dai pregiudizi e dal moralismo per la quale ha lottato il femminismo
degli anni settanta. Walter però non è d’accordo con l’equazione diffusa e accettata tra, da una
parte,“empowerment”, che potremmo tradurre controllo, senso di potere, liberazione, scelta, e, dall’altra,
la donna vista e posta sempre più come oggetto sessuale. Ci si trova di fronte al paradosso di ragazze che
dicono di scegliere, ma che in realtà sembrano spinte più da disperazione che da liberazione. In questo tipo
di cultura, secondo Walter, la scelta per le donne è ridotta, non aumentata.
Conviene a questo punto far parlare alcuni passi significativi del libro.
“Essere in controllo in passato non significava una ragazza che gira intorno a un palo in perizoma, ma lo
sforzo delle donne di raggiungere una reale parità politica e economica”. (p.7)

“Il sorgere di una cultura ipersessuale non prova che abbiamo raggiunto una piena parità, semmai riflette
ed amplifica gli squilibri profondi di potere nella nostra società. Senza un profondo cambiamento politico
ed economico, quello che vediamo intorno a noi non è la parità per la quale un tempo abbiamo lottato; è
una rivoluzione in stallo.” (p8)

“Anche se le opportunità per le donne sono oggi più ampie rispetto alla generazione passata, stiamo
assistendo a un risorgere del vecchio sessismo in nuove forme. Lungi dal permettere il pieno sviluppo della
libertà e del potenziale delle donne, la nuova cultura ipersessuale ridefinisce il successo femminile entro
una cornice ristretta di attrazione sessuale. E, quel che è peggio, stiamo assistendo a un sorprendente
risorgere dell’idea che la femminilità tradizionale sia determinata biologicamente anziché
socialmente.”(p.10)

Alla preoccupante moltiplicazione di articoli e interventi che tendono a interpretare la differenza tra
uomini e donne e a fissare gli stereotipi di genere in chiave deterministica e biologica è dedicata la seconda
parte del libro. Il risultato delle due parti è una “anatomia della regressione di una cultura che sta
riproponendo aggressivamente valori sessisti”, che vanno da una rappresentazione delle donne come
oggetti al suggerire che certi comportamenti siano naturali e predeterminati e che la disuguaglianza sia
pertanto inevitabile.

“Mentre dovremmo offrire la possibilità di una vera scelta, in una società caratterizzata da libertà e parità,
al contrario, una retorica della scelta maschera pressioni enormi sulla generazione odierna di donne.
Viviamo in un mondo in cui gli aspetti della femminilità che potrebbero essere liberamente scelti si
trasformano troppo spesso in una gabbia per le molte giovani donne.” (p.14)

Per concludere (ma ci sarebbe e forse ci sarà occasione di citare altro) conviene leggere qualche passo dal
capitolo “Scelte”, che conclude la prima parte del libro.

“La cultura fortemente sessualizzata che ci circonda è tollerata, quando non addirittura celebrata, perché
poggia sull’illusione della parità. Dato che si è diffusa l’idea che uomini e donne sono oggi ormai
perfettamente pari nella nostra società, non viene visto come un problema il fatto che le donne vengano
incessantemente incoraggiate a dare la priorità all’essere sessualmente attraenti. Si dà per scontato che si
tratti di una scelta libera da parte di donne poste, da tutti i punti di vista, in una situazione di parità rispetto
agli uomini. Ma se guardiamo più attentamente alla situazione attuale, vediamo chiaramente quanto
traballante sia in realtà questa illusione di parità. Per citare alcuni dei fatti più basilari: le donne non hanno
ancora una effettiva parità di potere politico, in quanto solo un parlamentare su 5 è donna. Non hanno
parità economica, visto che il divario salariale non solo è ampio, ma sta addirittura aumentando. Le donne
non hanno la libertà dalla violenza per la quale hanno lottato, e, con un tasso di condanne nei processi per
stupro soltanto del 6%, sanno che gli stupratori godono di fatto dell’impunità nella nostra società. [Dati
riferiti alla Gran Bretagna, NdT]
Non c’è, chiaramente, nulla di intrinsecamente degradante o spiacevole nel fatto che una donna faccia
pole-dance, strip-tease, abbia rapporti sessuali con un numero elevato di partner o sia una consumatrice di
pornografia. Si tratta di comportamenti tutti potenzialmente godibili, sexy e divertenti. Ma nel contesto
attuale, nel quale il valore delle donne è così ossessivamente e instancabilmente legato alla capacità di
essere percepite come sessualmente attraenti, vediamo che certe scelte sono celebrate, mentre altre
vengono marginalizzate, e ciò ha chiaramente un effetto notevole sul comportamento di molti uomini e
donne.
La cultura ipersessuale non soltanto ha le sue radici nel perpetuarsi dell’ineguaglianza, ma produce anche
ulteriore ineguaglianza.” (p.120)

Una nota positiva è la constatazione che qualcosa si sta muovendo. E’ un anno in cui in Gran Bretagna, un
po’ come in Italia, stanno uscendo molti libri che tornano a parlare di questione femminile, si assiste a un
ritorno all’attivismo, e infatti nella parte finale del suo libro Walter indica una serie di associazioni e siti.
Molte ragazze arrivano alle sue presentazioni e chiedono: “Cosa possiamo fare? Vogliamo fare qualcosa
per cambiare le cose.” C’è speranza, insomma, in una mobilitazione, quanto mai necessaria, perché la
“bambola vivente”, che viene “celebrata come la moglie dell’eroe anziché come l’eroina della propria vita”
e che “ha rimpiazzato la donna liberata che dovrebbe aprirsi un varco nel ventunesimo secolo”, possa in
effetti venire rimpiazzata da altri modelli. Non a caso l’ultimo capitolo del libro si intitola “Cambiamenti”. E
racconta di alcuni movimenti e organizzazioni di donne che hanno cambiato e stanno cambiando le cose.