Diamo spazio, a partire da oggi, a uomini che ci scrivono. Con cadenza settimanale questo blog sarà a disposizione di interventi maschili: consentiteci di selezionarli sulla base di quanto riteniamo sia di interesse condiviso.

La decisione è frutto di un dato: molti uomini scrivono al blog, altrettanti ci scrivono direttamente. E’ stata una bella sorpresa, che non ci attendevamo, e che ci riempie di speranza: Essere Due nel mondo, come dice Luce Irigaray, rappresenta un gran bel progetto di vita.

Firmati o anonimi non importa: ciò che conta è il dialogo che si è innescato tra noi donne e voi uomini. Prezioso.

A capo

A capo

“…non è mai venuto meno in me lo stupore di fronte al paradosso della doxa […], il fatto che l’ordine stabilito, con i suoi rapporti di dominio, i suoi diritti e i suoi abusi, i suoi privilegi e le sue ingiustizie, si perpetui in fondo abbastanza facilmente, se si escludono alcuni accidenti storici, e che le condizioni d’esistenza più intollerabili possano spesso apparire accettabili e persino naturali.”

Pierre Bourdieu, La dominazione maschile, 1998

A capo

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Mentre studiavo filosofia all’università, sul finire degli anni ’90, uscì questo libro del sociologo francese Pierre Bourdieu. Subito lo comprai e iniziai a leggerlo, spinto dall’attrazione per ogni pensiero che mettesse in discussione l’ordine del mondo. Non mi coinvolse e non lo finii. Nonostante la chiarezza dell’argomento e la mia innata avversione per la prepotenza (e i “vincitori” in genere) non poteva coinvolgermi. Perché non avevo compreso il problema e il saggio era stato scritto da un uomo che lo aveva compreso.

Nel 1998 avevo alle spalle 15 anni di consumo della televisione italiana e 7 di lavoro nella televisione italiana. A metà del decennio precedente la TV era arrivata nella mia camera di adolescente e la mia curiosità vi aveva cercato la vita, che per carattere mi era difficile incontrare e avvicinare nelle strade e a scuola. Quello che dentro di me spingeva per uscire mi portò a raccogliere alcuni frutti: le magliette bagnate de La Bustarella che facevano intravedere seni; quelli scoperti a comando dalle ballerine sgargiantemente colorate di Colpo Grosso; l’abbondanza tracimante della carne di Drive In. Attinsi a quelle immagini, entrarono in me, pensando di stare solo osservando come era fatto il mondo. Mi riempirono occhi e mente. Non sapevo in quei giorni che dalla testa sarebbero ricadute intorno a me.

A capo

A capo

Con la maggiore età la camera divenne una casa intera, la scuola un lavoro e il paese una grande città. L’incontro con il corpo delle donne divenne inevitabile e sembrò anche naturale. La TV non era più per me una presenza quotidiana, ma continuavo a guardarla. Era pur sempre la finestra sul mondo e fissava dei punti di riferimento, spiegava chi ero e chi erano gli altri, le altre. In fondo diceva come ci si doveva comportare. Credevo di essere io ad usarla e sovente mi appariva puerile, finta, a volte grottesca. Ero più forte di quegli esempi pensavo, mi sentivo parte di una realtà differente e non condizionata dalla TV.  Moltissimi libri avevo inghiottito e conoscere la storia del mondo e il pensiero degli uomini (degli uomini…) ritenevo mi permettesse di guardarla con sufficienza. Mi consideravo libero dalla sua influenza. Così continuavo a guardarla.

In più avevo iniziato a lavorare in televisione. Montavo programmi, spettacoli, servizi giornalistici. E da dentro era tutto molto logico, normale, consequenziale. La logica è sempre economica e un lavoro è un lavoro, non stabilisci tu le regole che lo governano, ma se sei bravo usi le regole a tuo vantaggio. Così pensavo allora anche se “bravo” non ero. Poi avvenne un incontro. Il caso (destino, fortuna) mi portò una Donna davanti: allungando le mani per toccarla mi resi però conto che una gabbia di vetro mi imprigionava.

Io avevo di fronte a me una donna, una persona reale con desideri, difetti, paure, aspettative, e il suo corpo mi chiedeva di riconoscerla. Mi resi allora conto per la prima volta nella mia vita che cercavo nelle donne a cui mi univo proprio le immagini che avevo consumato giornalmente, non quello che loro erano nella realtà. Il vetro della gabbia era dello stesso tipo di cui son fatti gli schermi delle televisioni.

Facevo e guardavo TV ormai da più di 15 anni e quell’incontro aveva toccato i fili scoperti del mio immaginario, così provai a guardarci dentro. Vidi, e non solo guardai, tutte le immagini e risentii tutte le parole che mi avevano guidato e formato come individuo di genere maschile. Le vidi come nel riavvolgimento di un nastro dentro al videoregistratore. Non c’erano solo i seni in primo piano, le panoramiche sulle cosce, i sederi raggiunti dagli zoom, le labbra atteggiate a sorrisi elettronici; c’erano anche tutte le parole e le immagini che da quando ero un bambino mi avevano indicato cosa dovevo essere io e cosa erano le bambine le ragazze le donne, dalla scuola agli amici ai media. Insomma quello che il senso comune definiva essere la sessualità.

Il riavvolgimento durò molti mesi e al termine mi restò forte negli occhi un’immagine televisiva, che ormai era passata tra le pieghe della (in)coscienza: quella di un corpo di donna seminudo che si offre. E di quella immagine persistente per me contava molto di più l’essere immagine, di quello che raffigurava. Perché delle immagini che osserviamo attraverso uno schermo sentiamo di essere padroni: sono lì per noi ma non ci chiederanno conto di nulla. Diversamente dalle necessità dei corpi reali.

A capo

La cultura e la mia famiglia mi avevano dato strumenti per interpretare la realtà così come loro la concepivano. Ma la TV stava cambiando profondamente la realtà stessa: la differenza fondamentale tra il mondo in cui ero nato nel 1969 e quello in cui ero adulto era la presenza quotidiana e massiccia dell’immagine elettronica.

La responsabilità per le condizioni di esistenza che creiamo e accettiamo non sono della televisione in quanto tale, anche in questi giorni che celebrano il suo regno. E’ anche degli altri media e delle istituzioni sociali. E’ di tutti noi che le accettiamo così come sono.

A capo

A capo

Su quel fermo-immagine di donna virtuale che non mi abbandonava, mi misi a riflettere su chi ero. Un maschio. Chiedendomi che cosa significa davvero. Non è facile capirlo. Ma una cosa si è chiarita: la dominazione maschile si attua anche, e per prima, sui maschi.

A capo

C.