I ricordi più indelebili sono spesso frazioni di sguardi, talvolta di sconosciuti. Lo sguardo dell’unico lavoratore uomo, coinvolto nella performance teatrale OMSA insieme alle sue colleghe, mi ha irrimediabilmente  perforato il cuore. Giugno dello scorso anno, Punto G, l’incontro organizzato da Marea a Genova. Alla fine di un dibatitto usciamo nel sole accecante a due passi dal mare, e un fischio penetrante ci sorprende: “OMSA’ OMSA’ OMSA’ OMSA'” ritmano le lavoratrici addestrate dal Teatro Due Mondi per sensibilizzare la gente al dramma del loro prossimo licenziamento. La performance è degna del migliore teatro: Il video non può rendere l’emozione che suscita: queste donne operaie per decenni,  non lasciano nulla d’intentato e si ritrovano a girare l’Italia in una tournè di dolore. E un uomo, unico tra le sue compagne, che marcia nella sua divisa circense, passo stanco e sguardo basso. Fossi stata artista, oh lo fossi stata! per tratteggiare, disegnare, riprendere quelle spalle curve, quello sguardo domato, quell’ultimo tentativo di uomo di fabbrica che si trova a 50 anni ad essere attore del suo personalissimo dramma. Domato dalla vita che lo costringe a mettere in scena la sua vita. Questo no, non l’aveva previsto. Lì nel sole accecante, noi in abiti estivi, loro sudati a mimare la vergogna del perdere il lavoro dopo una vita. Questo il dramma di centinaia di persone.

I fatti sono invece più prosaicamente  i seguenti: L’Omsa, calzificio che produce marchi di successo come Golden Lady, decide di licenziare centinaia di operaie per delocalizzare la …

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