Da qualche giorno sono ospite di un’amica in un piccolo meraviglioso paese dell’entroterra sardo: scrivo, passeggio, guardo le donne ai telai produrre tappeti incantevoli, penso. Leggo Sardegna 24, un nuovo quotidiano diretto da Giovanni Maria Bellu che spero possa essere riprodotto con questa impostazione in altre città: si parla di problemi locali ma con l’approccio dell’indagine, della denuncia seria senza clientelismi, lo leggo e mi appassiono. Riporto l’articolo di fondo del direttore che mi tormenta da stamane: che vergonga, che disastro, io voglio fare qualcosa, voglio reagire. Voglio incidere sul cambiamento. Settantamila micro aziende sarde a settembre dovranno chiudere. 210 mila addetti da allora in poi, saranno a spasso, e considerando le loro famiglie si arriva a calcolare che 600 mila persone, nei prossimi mesi saranno ridotte sul lastrico. Gianni Piacciau del movimento «Artigiani e commercianati liberi Sardegna», già iniza a intravedere la prospettiva dell’Argentina nei giorni acuti della crisi. E non è un concetto irreale o esagerato, perchè oltre al baratro della disoccupazione, si aggiungono le pratiche vessatorie dello Stato: i sardi dovranno pagare oltre 300 milioni di euro, che arrivano con le cartelle di Equitalia pronti per essere riscossi dall’erario.

“Non era affatto una macabra metafora del fallimento economico come morte civile il carro funebre che ha accompagnato il corteo delle vittime di Equitalia. Era invece una sintesi cronachistica di quanto, nel silenzio pudico di famiglie capaci di conservare la dignità anche nei momenti più disperati, sta accadendo nella nostra terra. Sì, ci siamo arrivati. Si è compiuto

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