Chiara Baldin da Lisbona è temporaneamente in Angola. Mentre i nostri si dilaniano a Roma, non perdiamo di vista le ventenni e i ventenni che vivono ORA  e non possono rimandare la vita  quando i nostri si saranno messi d’accordo. Mettiamoci in ascolto. Ieri ero al Dynamo Camp, andate a vedere online che meraviglia! pieno di ragazzi/e meravigliosi. Mettetevi in ascolto. In Peruù nei consigli comunali siedono anche dodicenni. Mi è parsa una cosa di belllezza inaudita. Ascoltarli realmente.

Vi scrivo  una riflessione partorita dopo un recente viaggio in Angola, ex-colonia portoghese: racconta ed esprime un problema purtroppo attuale in ogni luogo del pianeta, nonché importante soprattutto nel belpaese. L’immondizia.

Ne scrivo perché voglio far luce su una parte di mondo che sta riemergendo dopo anni di guerre e dipendenze; perché si collega alla mia Lisbona e al popolo portoghese, come a tutti quelli colonizzatori; perché l’ecologia e il rispetto sono temi che da sempre mi stanno a cuore, da modesta ambientalista.

Spero possiate trarre uno spunto di meditazione anche voi.

Vi do un compito da svolgere nei prossimi tre giorni: guardatevi intorno mentre camminate per strada, nei luoghi che frequentate e in cui vivete, provando a contare i rifiuti che trovate.

E poi? E poi ci sono due possibilità. O li raccogliete e li gettate nei primi raccoglitori di differenziata oppure, beh… li lasciate lì dove li avete trovati e, chissà, qualcuno prima o poi li raccoglierà?

 

Montagna e montagna non si incontreranno mai,

ma uomo e uomo un giorno si incontreranno.

antico proverbio angolano

 

Sono troppo corti. Insomma, mettono in mostra le gambe in toto e anche i peletti sulle ginocchia non depilate. Questo il pensiero costante nella prima giornata attraverso le strade afose e bollenti di Luanda, capitale dell’Angola (Africa centro-occidentale).

In un paese dove nessuna garanzia è assicurata alla gente, neanche la sopravvivenza fino al giorno successivo, io mi sto preoccupando delle mie gambe nude. Col caldo che fa, soprattutto!

Sono rinchiusa in una scatola enorme e alta, chiamata Jeep. Io la chiamo moscapreta. Non vi ero mai salita prima. Una fessura mi sparaflasha aria condizionata: dentro l’astronave ci sono 19 gradi e io sto congelando.

Fuori, il mondo… un mondo incandescente, colmo di toni vivi addosso a tante sfumature color cioccolato. In alto un cielo azzurro vivido, in basso la terra rossa e accesa. Il motorista, Francisco, ha negli occhi scuri e profondi tutta l’Africa. Li vedo dallo specchietto retrovisore e sembrano quelli di una gazzella sempre all’erta, pronta a scappare e fuggire al transito impazzito di Luanda. Il mio sguardo passa attraverso i vetri sfumati e arriva a una serie di volti. Li scruto. Di tutte le età. Quanti bambini in strada! Mai visti così tanti e tutti insieme. Quei volti raccontano la stanchezza di un altro giorno cominciato all’alba, carico di merci sulla testa, tra le mani e dietro la schiena. Parlano di fame, rabbia, precarietà e diffidenza. Sentimenti maturati con i trent’anni di guerra civile, da poco conclusa. Un male finito col tempo, ma ancora vivo nella memoria e nelle coscienze. Scatto immagini con gli occhi, in silenzio, e proseguiamo. Il transito di Luanda non ha regole. Anzi, una ce l’ha: vince il più forte.  E se non imbrogli, sei un burro (stupido, asino).

Samba, il tratto che costeggia l’oceano, è un autentico paradosso. L’ho ribattezzato “la frana di rifiuti”: da un lato è disegnata una collina di spazzatura, in cima alla quale si erge una baraccopoli. Su montagne di immondizia putrefatta si rincorrono decine di bambini. A pochi metri, la collina è ingabbiata da reti di contenimento oltre le quali si intravede un’enorme villa e un giardino lussureggiante. Molto verde e senza bambini che corrono.

Giù dalla collina, lungo tutto il tratto di strada che costeggia “la frana di rifiuti” si vedono imponenti cartelloni volti a pubblicizzare una campagna di sensibilizzazione contro il lixo. Caratteri cubitali e colorati che invitano a non gettare la spazzatura per terra, spiegano come fare la raccolta differenziata, dove gettarla, e tanto altro.

Pausa di riflessione.

Altro giro, altra corsa.

La Ilha di Luanda è una lingua di sabbia, baracche e, per chi se lo può permettere, vita notturna. Alle nove di mattina sto già immergendo i piedi nella polvere gialla. Ricardo mi avverte: «Guarda sempre dove cammini». E io, che questa frase la conosco da quando sono piccola, “ovviamente” cammino senza guardare cosa calpesto. Mi giro e… una valle di lattine Cuca (la birra angolana) e bottiglie di vetro sulla sabbia mi sta fissando. Sbotto e guardo il mare. L’acqua sembra pulita e calda, da lontano. Da molto lontano. Intingo i piedi e incontro sacchi di plastica, resti di qualunque materiale, pezzi di vetro che galleggiano. Le onde sono violente. I bambini numerosi in quelle spiagge. Basta un’onda a sbattere con forza sulla testa di un bimbo e il vetro ci si conficca dentro. Lascia ferite e cicatrici.

Tuttavia lì, a quanto pare, sembra che le persone convivino senza accorgersi di essere sommerse da spazzatura.

C’è chi prova a raccogliere il lixo dalle strade e dalle spiagge, alle sette e trenta di mattina. Alle dieci la situazione è peggiorata e si calpesta di tutto.

E i quattromilionidichilogrammi di lixo prodotti quotidianamente dagli angolani dove vanno a finire? Bruciati. E qualcuno è consapevole della quantità di inquinamento che questi chilogrammi provocano? E la sensibilizzazione in radio e in tv qualcuno la ascolta? Ma perché dappertutto scrivono, pubblicizzano e gli angolani non migliorano la situazione? Forse c’è qualcosa che manca in questa sensibilizzazione? Qualcosa che ancora non sanno e che nessuno ha mai spiegato loro? Sono venuti a colonizzarli, hanno voluto “civilizzarli” e hanno dimenticato di parlare, spiegare e ascoltarli?

Sono alcune delle domande che mi pongo il primo giorno a Luanda.

E mi dimentico completamente dei pantaloncini vertiginosi che svestono le mie gambe. Pallide.

Chiara Baldin