Grazie Giulia Montanelli x qs fantastica testimonianza.
“Per ragioni di lavoro, ogni anno a fine marzo mi trovo un paio di giorni a Parma, in occasione del MECSPE, la fiera della meccanica specializzata.
Seguo il MECSPE da almeno 4 anni e ho visto il polo fieristico di Parma crescere velocemente e raccogliere sempre più visitatori; la fiera della meccanica in particolare acquista ogni anno più importanza ed è un punto di incontro interessante per chi lavora nel settore manifatturiero.
Quest’anno in particolare ho avuto modo di visitare i diversi saloni di cui si compone in modo più approfondito e ne sono uscita con una serie di impressioni molto positive.
Anticipo che parlerò di impressioni e non di dati: i dati credo (spero) che mostreranno le sensazioni che ho avuto in un prossimo futuro; o magari no, se le potenzialità che ho intravisto imploderanno, come è possibile che sia; o magari no, perché i dati non saranno raccolti per guardare a quello che ha attirato la mia attenzione ma saranno rivolti ad altro. Sia chiaro insomma, che quello che racconterò di questa fiera è un filone di sensazioni che mi sono rimaste che non hanno la pretesa di uno studio sulle tendenze attuali.

I motivi che mi hanno subito colpito sono stati due:

il primo è stato quasi una reazione allergica: mi sono venute in mente tutte le voci di sventura che dicono che il lavoro, e in particolar modo l’industria, nel nostro paese sono morti. NO. Mi è proprio salito in gola un fortissimo NO. L’industria in Italia non è morta; attraversa certo un momento difficile e non c’è bisogno di scomodare le statistiche per raccontarlo. Ma esiste, esiste eccome! È solo che è, come da tradizione, un’industria piccola, spesso addirittura micro, capillare, spesso familiare. Si pensa all’industria e si pensa alla FIAT, ma i grandi gruppi in Italia sono le eccezioni, non la regola. Lo sappiamo bene, abbiamo tanto studiato la natura dei distretti produttivi, eppure tendiamo a dimenticarcene: sembra quasi che “piccolo” sia sinonimo di “scarso”. È una cosa che in un altro modo intravedo anch’io quando ricerco personale: il fatto che la nostra azienda sia così piccola la rende meno appetibile per chi cerca lavoro;

il secondo è stato una specie di apertura d’occhi rispetto a un altro luogo comune: quando si parla di made in Italy e della grande qualità propria del marchio Italia si pensa invariabilmente ai marchi del lusso, della moda o al massimo di eccellenza enogastronomica. E anche qui, NO. La qualità italiana che nell’immaginario collettivo è tutta lì, in realtà corre anche su altre piste. Ho visto industrie che producono componenti e impianti, robot e automazioni che vengono venduti in tutto il mondo e in tutto il mondo vengono richiesti perché sono qualitativamente superiori. Insomma, non è vero che la capacità italiana di produrre qualità si ferma all’estetica o al gusto. C’è di più, sono gli stereotipi che riducono tutto.

Poi, osservando in modo più accurato le persone, quello che mi ha impressionato lo ha fatto per una ragione diversa: mi ha impressionato la giovane età di chi esponeva agli stand; e mi ha profondamente colpito la grande presenza di donne.
La sensazione che ho avuto, chiedendo informazioni per ragioni di lavoro e scambiando qualche battuta amichevole con chi si trovava negli stand, è che stia avvenendo un grande ricambio generazionale. La quantità di piccole aziende che costituiscono la maggioranza del tessuto produttivo del nostro paese è fatta sta perdendo, per ragioni di età, la guida dei capostipiti. E stanno entrando i giovani, che hanno per la maggior parte intorno ai 30 anni. E non solo: stanno entrando in scena le donne! Ho visto una fiera piena di donne che non facevano le hostess o le interpreti: erano lì come espositrici, in qualità di titolari, di responsabili dell’ufficio vendite o dell’ufficio tecnico.
Personalmente, diciamo a naso, me lo spiego così: un po’ le figlie femmine finalmente studiano quanto e più dei figli maschi e sempre più scelgono materie scientifiche; si laureano ed entrano nel mercato del lavoro. Poi succede che entrate nel mercato del lavoro le ragazze scoprono che manca loro lo SPAZIO per le loro idee, intelligenze competenze. Il mercato del lavoro in Italia è talmente una fossa dei leoni per le donne che non è così difficile fare il passo di cominciare a ragionare sull’impresa di famiglia, dove si può dare e fare molto di più, e molto meglio. In contemporanea succede che le famiglie della mia generazione non sono più quelle di una volta: sono famiglie con meno figli e magari nessun figlio maschio. Una condizione che solo 30 anni fa avrebbe segnato il destino di una piccola azienda che non avrebbe avuto chi la portasse avanti. Adesso invece – e qui mi viene in mente una mia cara amica – capita che un uomo disperato alla nascita della terza figlia femmina si trovi a scommettere proprio sulle sue tre figlie perché possano traghettare l’azienda dal passato al futuro, impresa che si sta svolgendo con un successo che l’anziano capostipite non avrebbe mai osato nemmeno sperare.

È vero, tutte queste belle cose che ho raccontato sono solo sensazioni ed elucubrazioni mie a seguito di una fiera.
Ma anch’io ho una piccola azienda in Italia, proprio una piccola manifatturiera, i miei soci sono ben due ragazzi che non hanno ancora 30 anni e, in mezzo a tante difficoltà, stiamo ben cercando di innovare e crescere puntando su una qualità made in Italy.

Spero proprio che la mia più che una sensazione sia un’intuizione sugli sviluppi dei prossimi anni. E spero che possa essere magari un incoraggiamento ad avere un po’ meno paura. “