Ne ho salvata un’altra venerdì scorso.
E’ questa che vedete, immagino fine anni ‘50, il manico è rotto, ma ho chi lo aggiusterà, è una mia fidata complice.
Oramai da anni ricevo l’invito al mercatino di Natale da parte dell’Associazione benefica  che mette in vendita i contenuti degli armadi di vecchie signore: si disfano di ricordi passati o degli oggetti di parenti oramai decedute.
Sono una cliente affezionata, non mi perdo un’inaugurazione  per tutto l’oro del mondo: i ricavi del venduto vanno a sostenere opere pie: aiuti al terzo mondo per lo più.
Ma io ammetto che non è la solidarietà verso i più derelitti la ragione che mi avvicina ai banchetti, o almeno  non è solo quella.
Il motivo per cui aspetto con ansia questo periodo di novembre è per mettere in salvo le vecchie borsette che lì sono in vendita.
All’inizio la mia opera di salvataggio coinvolgeva, oltre alle borse, cappellini, guanti, colli di pelo, e gonne con sottogonne, scarpine…. Insomma tutto ciò che era appartenuto alle donne che mi avevano preceduto e di cui mi sentivo erede e come tale, in obbligo di conservarne la memoria.
La mia attività si è fatta  poi più frenetica via via che il “vintage “diveniva di moda: non sopportavo di vedere le mani di modaiole predatrici che arraffavano rapaci  tutto ciò che aveva costituito il corredo delle mie amatissime donne passate: non c’era rispetto nelle loro mani, non c’era amore. Vedevo l’ingordigia di possedere una cloche, un cache couer, una pochette per poi mostrarsi agghindate  alle amiche.
Osservavo le fasi dell’acquisto: la preda veniva adocchiata, con rapidi gesti veniva rapita e dopo rapida contrattazione, acquistata.
Una volta seguii ansiosa un’ acquirente nervosa che mi aveva “soffiato” una delizia di borsa anni ’50: un attimo di distrazione e l’oggetto delle mie attenzioni era sparito nel suo enorme sacchetto.
Appena all’aperto, era avvenuto ciò che avevo temuto: la borsina era stata aperta e ripulita con fastidio del  vecchio contenuto. Un attimo dopo avevo già  recuperato  con gioia  ciò che sapevo che avrei trovato: un pettinino, uno specchietto, dei guantini rosa pallidissimo. Erano al sicuro ora: la mia operazione di recupero era riuscita con tutto il suo portato di vita trascorsa: quegli oggetti mi raccontavano di passeggiate con le amiche, di un pudore a me sconosciuto nel mostrare le mani, di una necessità di ravviarsi i capelli  che stavano in ordine, immaginavo, sotto un cappellino.
Da qualche tempo la mia opera si limita ai cappellini e alle borse. Ho dovuto, con un certo rammarico, limitare le mie uscite di caccia per sopravvenuta mancanza di spazio nello stivare, catalogare e mantenere tutto il passato delle mie amate donne.
I cappelli li colleziono perché mi piacciono: chi ha provato ad indossarli, conosce il godimento che deriva dal potere  entrare in un personaggio ogni volta che ci si appoggia sulla testa un copricapo importante. Le appassionate avranno di certo visto e rivisto” Morte a Venezia”anche  solo per ammirare le acconciature del grande Tosi per l’inarrivabile Mangano.

Le borse le recupero nei giorni in cui so di potermelo permettere. Psicologicamente intendo.
Il contenuto delle borse dischiude un mondo a cui accostarsi con rispetto,cura e tranquillità.
Qui accanto a me, mentre vi scrivo, tengo  un carnet di pelle un po’ consunta, due piccole fibbie di metallo di cui una mancante di una parte, che dovevano stare a garantire la segretezza del contenuto.
L’ho trovato in una piccola borsa che non pareva suscitare  attrattiva per alcuna, tanto era consunta. Ma io ho fiuto e infatti al suo interno stava, chissà da quanto tempo, questo gioiellino di quaderno.
E vi immaginerete il balzo al cuore quando aprendolo ho scorto poche righe: “Alla mia cara Giuseppina, la zia” 25 dicembre 1903. Un piccolissimo fiore è caduto dalle pagine e altri 4 ne ho trovati nascosti. Avevano, in questi 110 anni, lasciato un’impronta delicata tra i fogli.
Chi era stata Giuseppina, quanti anni aveva quel Natale dei primi del Novecento, quanti anni avrà avuto allo scoppio della Prima Guerra mondiale? Sarà stata  una ragazzina felice? E da quanti anni Giuseppina  non c’è più?

Così conservo con tutto l’affetto e la cura possibile le borse delle mie donne del  passato.
Stanno insieme dentro armadi, scaffali, ceste, ripiani: con gli anni stanno invadendo le stanze e  la casa intera. Io faccio loro spazio, allontano oggetti, vasi, soprammobili inutili per dare loro l’attenzione che meritano.
Quest’ultima arrivata starà  di fianco ad una borsina di maglia argentata  a catenella di metà ‘800: tra loro, un secolo di storia. Cent’anni che ancora sono stati di silenzio, di destini decisi da altri, di amori combinati, di vite raramente autodeterminate.
Io non dimentico. Io non le dimentico. Io non vi dimentico carissime e amatissime donne mie.