di Giulia Camin corrispondente da PARIGI

“La posta in gioco stessa del coraggio è di mettere alla prova la natura della volontà e della libertà del soggetto. Noi non saremmo liberi se non alla stregua della messa alla prova del coraggio? Eppure, niente di più certo di un soggetto che, alla chiamata del dovere del coraggio, si sente già condannato. Che cos’è volere? Che cos’è il volere se non già il manifestarsi di una certa forma di coraggio? Poiché volere, vorrà dire affrontare il passaggio verso il potere. Volere non è ispo facto potere. Non basta volere per potere. Oppure sì. Basta. Ed è così che il territorio immenso della volontà si apre, come un abisso. E la posta in gioco diventa chiara. Il coraggio, sarà già il volere. Decidere di volere. Nient’altro che ciò”( Da “La fin du courage” di Cynthia Fleury) 

 Ieri ho guardato un telegiornale italiano in streaming; sono pochi quelli visibili gratuitamente per gli italiani all’estero. Non lo guardavo da tempo, più o meno da quando mi sono arresa alle evidenze: venti minuti dedicati ai problemi giudiziari di pochi, cinque minuti per accennare ai problemi reali di un intero paese. Ma ieri ne sentivo il bisogno, ero ansiosa di partecipare, anche se da lontano, ai funerali di Lea Garofalo. Fremevo dalla commozione e avevo necessità di vedere una folla oceanica pronta a rappresentare anche la mia di vicinanza a Denise, sua figlia. Lea, che esempio immenso di coraggio e di amore per la legalità. Quanta rabbia da trasformare in monito per tutti noi! Spero che tutti gli insegnanti d’Italia domani interrompano la trattazione del programma per parlarne e trasmettere ai più giovani e alle più giovani l’impegno a cui ci chiama la storia di questa donna, impegno non solo contro le mafie ma contro ogni forma di mentalità mafiosa. Quelle mentalità che distruggono il nostro paesaggio, la nostra cultura e che ci privano di ogni forma di meritocrazia. La vita di Lea ci parla e ci parlerà per sempre anche di questo. Io se fossi una bambina, un’adolescente oggi avrei un dannatissimo bisogno di sentir parlare di donne forti e decise come lei. Avrei bisogno di sapere, conoscere, riflettere a partire da questi esempi per farmi forza e per potermi costruire in quanto persona.

Vorbild é una parola tedesca che ho sempre amato, una di quelle tante parole che nella precisione della lingua tedesca riescono a restituire il senso stesso di un concetto, di una nozione. Immagine ( das Bild) che abbiamo davanti  (-vor).  I modelli ci danno coraggio, ci aiutano a visualizzare come vorremmo essere, ci danno un benevolo spintone  per farci passare dal volere al potere;  sono fari che vegliano su di noi e ci invitano, o addirittura costringono, a passare all’azione.
Penso alle donne che ho preso a esempio quando ero bambina, quelle che mi hanno aiutata a costruirmi; volti, corpi, libri a cui mi sono ispirata per crescere. Penso alle donne che mi stanno accompagnando ancora oggi, quando cerco un equilibrio nel ritmo frenetico della vita quotidiana, ora che ogni mattina, quando chiudo la porta di casa alle mie spalle, un profilo di tetti color ardesia mi ricorda che sto piantando radici in un paese che non é il mio.

Perché penso soprattutto alle donne? Perché per anni di esempi maschili ne ho avuti a tonnellate: libri di testo, film, mostre d’arte, articoli di giornale mi hanno spesso restituito un’immagine di mondo al maschile in cui apparentemente il posto per me, bambina, ragazza, era molto limitato. Io oggi é soprattutto delle donne che ho bisogno. Ne ho bisogno per misurarmi e capire fino a dove posso arrivare, per potermi immedesimare, per potermi rivedere nelle loro difficoltà e lotte; ma sono proprio loro che troppo spesso sono assenti dai manuali scolastici, dai giornali, dalle premiazioni letterarie o cinematografiche, dalle commissioni disciplinari, dai vertici della politica, dalle orchestre o dai campi sportivi. Quei vuoti, quei buchi impediscono a me e alle donne più giovani, di potersi proiettare e immaginare nel mio-loro  futuro.


Ho spesso esplorato Parigi andando alla ricerca di luoghi che mi parlassero di alcune di loro, donne che mi hanno raccontato l’amore per la libertà, per l’arte, per la creatività, per l’uguaglianza; sono andata spesso a salutare Simone De Beauvoir, Olympe De Gouges o Barbara (la cantante, in francese si dice Barbarà),  nei quartieri in cui ci sono ancora tracce che mi parlano di loro. Ho pensato a Flora Tristan, Louise Michel, George Sand, Claude Cahun, Colette, Edith Piaf. Ho pensato a Tina Modotti, fotografa e militante rivoluzionaria, immigrata italiana che, partita da Udine, girò il mondo (passando anche per Parigi) per inseguire i suoi ideali. Me ne vengono in mente tantissime, le sto scrivendo tutte su un quadernino a forma quadrata e sono felice di vedere che le righe si addensano e iniziano a diventare moltitudine. Ce ne sono di tutte le epoche. Alcune sono presenti nella mia libreria. Sono tantissime le donne che si sono distinte per aver lavorato in ogni campo possibile dello scibile umano e che hanno lottato per guadagnare un posto  nella società. Quando l’attualità mi deprime e mi disarma gettandomi nell’avvilimento più profondo, quando a lavoro mi accorgo che ” con un uomo non si sarebbero permessi di comportarsi cosi” é nelle loro storie che cerco rifugio. Sono loro che mi danno l’energia necessaria per ricominciare a costruire con coraggio, nel mio piccolo, il mio quotidiano e il quotidiano di chi mi circonda (tutti siamo potenziali esempi trasversali). E à loro, a queste donne, che penso anche quando volgo gli occhi al cielo dopo aver visto al cinema un film  bello quanto doloroso come  “La vie domestique” di  Isabelle Czajka . Immagino possiate dedurne facilmente  il tema principale, si tratta di  un film uscito nelle sale francesi qualche settimana fa proprio mentre in Italia si dibatteva malamente e superficialmente delle affermazioni di Laura Boldrini e delle costernanti esternazioni di Guido Barilla. Spero che questo film arrivi presto anche in Italia, andrebbe proiettato nelle scuole perché, pur raccontandoci qualcosa di estremamente semplice, manifesta una particolare e intensa autenticità, ricordandoci quanto dobbiamo restare vigili, lottare, insistere e avere coraggio per uscire dalle gabbie che ci sono state imposte.

 Cerco anche nei film storie e modelli di cui appropriarmi. Le cerco nei cinema, nelle librerie, nei musei; cerco donne di cui parlare a mia nipote Chiara (sei anni) per spiegarle che anche a lei é data la possibilità di fare grandi cose; le cerco per dare coraggio alle amiche che ora sono un po’ perse, immobilizzate, che fanno fatica a trovare lavoro, che inciampano nell’ennesimo concorso truccato o nell’ennesimo non rinnovamento di contratto causa maternità. Per quelle che un posto ce l’hanno e c’è chi osa denigrarle con illazioni di bassa lega, perché “se sono lì, ci sarà un motivo”. Cerco esempi per le donne immigrate, vittime di doppia discriminazione in Italia. Perché è anche e soprattutto a loro che dobbiamo dare una mano.Cerco esempi di legalità e verità, come quello di Lea Garofalo, che non possiamo dimenticare per affrontare il domani. Queste sono le storie di cui ho bisogno di nutrirmi e che mi rendono più forte.  

 Nella foto, un piccolo monumento costruito con alcuni dei miei libri.