Ricevo e pubblico con grande interesse questo contributo di  Lija Lascenko, giovane donna russa cresciuta in Lettonia e residente  in Inghilterra. Punto di vista e propostadi analisi  interessantissima. Grazie Lija

Seguendo le notizie del Corpodelledonne spesso mi ritrovo a fermarmi  a lungo sugli articoli scritti dai corrispondenti dall’estero – leggendoli sento risuonare nel mio cuore tutta la loro problematica, e, perfino, disperazione. Eppure non sono italiana, sono una ragazza russa, nata e cresciuta in Lettonia post-Sovietica e partita per l? Inghilterra per studiare e cercare un futuro migliore.

Forse, questa mia provenienza dice poco a chi non è esperto dei paesi Baltici, ma dice molto a chi ha viaggiato ed ha incontrato centinaia di lettoni sparsi per il mondo studiando, lavorando e non volendo tornare più. Sono stufi  dei politici che cercano di frastornare il popolo.  Così come gli emigrati italiani, sono stanchi dai propri concittadini che ogni quattro anni votano gli stessi partiti, dei quali prima si lamentavano accusandoli di aver rubato i soldi destinati agli ospedali, alle scuole e all’occupazione. Sono irritati dai servizi sociali e agenzie pubbliche che preferiscono rimandare a Bruxelles le sovvenzioni Europee, caso mai non siano riusciti ad assegnarle ai parenti degli impiegati.

Così nasce una generazione trans-Europea, delusa dalla nascita, che non crede più nel patriottismo. Sono italiani, spagnoli, russi, lettoni, lituani, polacchi e molti altri, le cui identità, ancora formate dal loro ambiente culturale e linguistico, non sono più sostenuti dai fondamenti nazionali. E questo si rivela il problema più grave, poiché non è facile spiegare agli abitanti del paese di destinazione, da dove provengono un accento buffo e un diverso modo di pensare, di comportarsi, di vestirsi.  Di solito sono le caratteristiche delle persone appartenenti ad un altro paese; in questo caso invece non è così. Siamo gli alieni – atterrati sì, ma veramente integrati mai, perché se non abbiamo mai imparato cos’è sentirsi riconosciuti sul pianeta da dove siamo partiti, come potremo farlo in un luogo sconosciuto?  Qualcuno potrà  essere fortunato nel trovare una serenità altrove, ma in sostanza siamo tutti in cerca di un’identità nuova che non potrà  essere assunta giacché siamo attaccati  a ciò che ci ha insegnato le nostre società di  provenienza.

Ecco, il disagio dei migranti del 21° secolo – strapparsi da ciò che e ancora caro, ma non può essere vissuto e goduto insieme ad una banale sicurezza economico-sociale. E questo invita a riflettere sull’Europa post-moderna, ed il suo tentativo di coniugare il capitalismo senza restrizioni con il vecchio lealismo nazionale.  Noi siamo i prodotti di questi tempi. Anche se per noi la nostra cultura non è un sinonimo dello stato, viene abbandonata insieme con lo stato, poiché non abbiamo altra scelta.  Ma forse non è così? Sebbene la storia fosse sempre piena di sciagure economiche, di insicurezza e delle guerre, le nazioni sono rimasti unite.

Ora, invece, aggiungiamo al l fallimento dello stato il  fallimento della nazione e comprando i biglietti one-way ci aggiungiamo alle migliaia di altre anime raminghe dirette verso il benessere straniero.  Dunque, forse non sono i governi che hanno  tutta la responsabilità per l’aumento dell’emigrazione, ma siamo noi a decidere che la nostra cultura e le nostre radici valgono poco, troppo poco rispetto alla vita sicura e sazia.
Questa non è una condanna, perché se lo fosse, condannerei me stessa, ma solo una supposizione che la nostra fuga possa essere condizionata non solo dal governo corrotto e dalla gente indecisa, ma dal cambiamento avvenuto nella nostra mente. Siamo nati senza frontiere, non abbiamo saputo impararle e dunque per noi  non esistono affatto. Esistono solo gli stereotipi imposti su di noi e di cui dobbiamo liberarci per diventare i veri e propri cittadini del mondo.

26.01.2013