“Silvio Berlusconi ha rimbambito gli italiani”. E’ sorprendente la dichiarazione rilasciata da Paolo Bonolis durante un’intervista al settimanale “A”. Non tanto perché è un attacco al proprio datore di lavoro, grazie alle cui reti televisive Bonolis ha costruito la propria fama e la propria ricchezza. Si può anche fare, le grandi televisioni sono organizzazioni complesse e al cui interno possono, per fortuna, esistere idee, opinioni e punti di vista divergenti: le critiche e il dibattito fanno bene per preservare le diversità e l’obiettività.
Ma è la posizione da cui viene fatto che lascia sconcertati. Se Bonolis criticasse il proprietario di Mediaset dall’alto di un curriculum segnato dalla qualità dei programmi che conduce e di cui è spesso anche autore, al cui centro fossero stati messi, almeno qualche volta, l’interesse del pubblico (non solo quello dell’emittente) e la diffusione di cultura, popolare e spettacolare, ma pur sempre cultura, il racconto del mondo e delle persone, le sue parole su Berlusconi sarebbero non solo giuste, ma anche coraggiose.
Ecco il problema. Bonolis critica un rimbambimento di cui è stato artefice in prima persona con la volgarità, la semplificazione, gli stereotipi offensivi, le parole e le immagini create al solo scopo di richiamare facile attenzione nel pubblico. Critica un’azione di stordimento degli spettatori perpetrata negli anni dagli schermi televisivi (non solo da parte di Mediaset, anche la Rai ha fatto la sua ampia e triste parte) di cui lui è stato uno dei principali protagonisti. Se Berlusconi abbia mai avuto questo obiettivo, rimbambire il Paese, come lucido fine o se è sia stata una conseguenza della poltiglia mediatica che ha venduto con le sue Tv, in ogni caso Bonolis è uno di quelli che hanno fatto il lavoro sul campo, realizzando una certa Tv, mettendoci le parole e la faccia. Basta aver visto o andare a rivedere molti dei suoi programmi per constatarlo: Non è la Rai, Beato tra le donne, Striscia la notizia, Ciao Darwin, Chi ha incastrato Peter Pan?, Avanti un altro (al momento in onda su Canale 5).
A cosa ricondurre allora la sua uscita (altra sua frase riportata nell’intervista:
«Il rincoglionimento collettivo è qualcosa che ha pesato molto. Questo è un Paese di clienti”)? Irriconoscenza verso un uomo che lo ha reso ricco? Tentativo di ricostruirsi un’immagine nuova? Folgorazione sulla via del cambiamento in atto in Italia? Non credo. A mio parere si tratta di semplice dissociazione tra realtà e desiderio. Voleva essere il campione di un Paese diverso, dove le persone fossero stimolate a pensare con la propria testa, dove attraverso i programmi Tv popolari si potesse innalzare il livello di conoscenza del mondo, dove si dessero ai cittadini strumenti per elevarsi mentalmente e culturalmente invece di cercare di imprigionarli per “consigliargli gli acquisti”? Poteva farlo, soprattutto da conduttore affermato e in cui gli spettatori riponevano fiducia: avrebbe fatto un po’ più di fatica e guadagnato di meno. Non lo ha fatto, ma il suo desiderio è di essere considerato come se lo avesse fatto.
Bonolis non è solo, per carità! Enzo Iachetti che in un video su youtube manda affanculo i ministri del governo presieduto da Berlusconi, essendo da vent’anni il conduttore di una delle “corazzate” della sua programmazione come Striscia la notizia. Giorgio Gori che si iscrive al PD, fa la campagna elettorale per Matteo Renzi e poi si candida alle primarie per i deputati del centro-sinistra, lui che ha diretto Canale 5 prima e Italia 1 poi per tutti gli anni novanta, gli anni in cui il “berlusconismo” è stato definitivamente inoculato nella società italiana, soprattutto per mezzo delle Tv da lui gestite.
Tutti dissociati, vorrebbero essere quello che non sono stati. L’importante è che noi, con il telecomando e il voto non ci comportiamo da dissociati come loro, credendo alle loro parole invece che ai loro fatti.
Educare ai Media ricordaimo, resta il modo migliore per difendersi dalle immagini nocive della tv. Nel libro Senza Chiedere il Permesso, ed Feltrinelli trovate un utile manuale al corretto uso delle immagini.

Cesare Cantù