Tutte e tutti noi che conosciamo il lavoro di Lorella Zanardo, sappiamo che questo bellissimo percorso è iniziato proprio dal suo disagio con il modo in cui le donne vengono rappresentate sulla TV italiana. Anzi, non proprio donne, ma corpi, pezzi di donne che raffigurano (o dovrebbero raffigurare) donne intere per antonomasia. Infatti tette e sederi abbondano non solo nella TV e non solo nel contesto italiano, ma soprattutto nella pubblicità e a livello internazionale.

Quello che mi ha sempre intrigato però è che la vagina, invece, viene sempre nascosta. Da bambine ci dicono di non toccarla, non guardarla, se possibile neanche nominarla. In giugno di quest’anno, negli Stati Uniti, una senatrice è stata rimproverata per aver osato dire “vagina” durante un dibattito sulle modifiche alla legge sull’aborto nello stato di Michigan. Un senatore ha detto che lei aveva “violato il decoro” della casa dei rappresentanti; l’altro, che lei aveva utilizzato vocabolario “offensivo”. “E allora che vocabolario dovrei utilizzare? Se non posso dire la parola ‘vagina’, come mai stiamo qui a fare delle leggi sulle vagine?”, ha risposto la democratica Lisa Brown. (Ça va sans dire che quelli che l’hanno criticata erano uomini e repubblicani. Ma questo è un altro argomento.)

La rappresentazione iconografica della vagina di solito rimanda o alla pornografia o alla medicina, e questi due aspetti si sono uniti nella recente e spaventosa tendenza della vaginoplastica per motivi estetici. Il disagio che molte donne provano verso il proprio organo sessuale ha colpito l’artista plastico britannico Jamie McCartney, tanto da ispirarlo a dedicarne l’opera “The Great Wall of the Vagina”, che verrà esposta per la prima volta in Italia nella mostra KAMA – Sesso e Design, dal 05 dicembre presso la Triennale di Milano.

“Il Grande Muro della Vagina” è un’istallazione che consiste in 400 calchi in gesso di vere vagine – 400 donne diverse, tra 18 e 76 anni, “madri e figlie, gemelle identiche, uomini e donne transgenero, donne in periodo pre e post-parto e pre e post-vaginoplastia”, secondo il sito ufficiale dell’opera , esibita per la prima volta nel marzo del 2011, a Brighton, Inghilterra, dove vive l’artista. Nel video del making of, alcune donne che hanno partecipato al progetto parlano dell’esperienza: “ho provato una sensazione piacevole… Non in un modo sessuale, ma mi è piaciuto”; “è stato quasi come andare dal dentista”; “sono rimasta molto sorpresa quando l’ho vista nel calco. L’ho trovata bellissima, ne sono molto soddisfatta. (…) La vita passa per la vagina, che poi è um organo che ci fa provare anche molta allegria e piacere.”

Dalle foto il muro sembra affascinante, specialmente per l’enorme diversità: non ci sono due vagine uguali tra le 400 modellate da McCartney (le foto dei dieci pannelli, ognuno con 40 calchi, sono qui . “L’apparenza genitale è fonte di ansia per molte donne, e mi sentivo in una posizione privilegiata per farne qualcosa”, ha detto lui. Non ho capito se questa “posizione privilegiata” sarebbe perché lui è un artista o perché è un uomo, comunque le intenzioni di James sono ammirevoli: lui spera che la sua opera possa combattere la tendenza alla creazione di un modello di “vagina perfetta”.

So che può sembrare anche ingenuo, ma il lavoro di James mi ha colpito perché, pur essendo donna ma non essendo nè ginecologa nè omossessuale, non avevo mai fatto caso all’assolutà singolarità dei nostri organi sessuali. Secondo me il fascino di quest’opera si trova proprio nel modo in cui l’artista “trasforma il sessuale in non-sessuale e ti porta [lo spettatore o la spettatrice] ad un livello più profondo”: anche se operando in modo simile alla pubblicità che ci offre “donne a pezzo”, e anche se ancora attraverso lo sguardo di un uomo, io guardo fiche ma vedo donne, vite, storie. La peculiarità di ogni vagina rispecchierebbe allora il valore unico e incommensurabile di ogni donna, e consequentemente di ogni essere umano.

Evviva la vulva!

 

Articolo scritto dalla nostra corrispondente brasiliana Carol de Assis.