“Donna non si nasce, ma si diventa”

Simone de Beauvoir 1946

 

“Meglio essere cyborg, che dea”

Donna J. Haraway (1885/ ) 1991

 

(Citazioni tratte da “Manifesto contra-sessuale”, Beatriz Preciado)

 


A giugno di quest’anno un consiglio di medici e giuristi tedeschi ha riconosciuto nelle operazioni mediche applicate a neonati intersessuali, delle pratiche lesive di alcuni dei diritti umani fondamentali. Ad essere dibattuto è stata la presa di posizione del Comitato Etico tedesco sul tema dell’ intersessualità. Non solo i Verdi, ma anche gruppi evangelici, associazioni gay e losbo e gruppi di genitori di donne-XY  hanno sostenuto l’ istanza di una maggiore tutela di diritti di persone intersessuali. Il passo più importante che è stato fatto: riconoscere ufficialmente che l’ intersessualità non è una malattia. Ulteriori punti del dibattito hanno interessato l’ aspetto giuridico della connotazione sessuale sui documenti ufficiali: alcuni membri del comitato hanno proposto di aggiungere su carta d’ identità o passaporto la possibilità di scegliere -oltre alla dicitura “sesso: maschile” o “sesso: femminile”- anche “ALTRO”.

Questi sono dei piccoli ma essenziali passi che in Germania si stanno compiendo sul fronte della lotta alle discriminazioni di genere, qualsiasi esso sia e presupposto che esso esista. Una lotta che non è conclusa e che procede da anni. É dal 2011 che un comitato di individui e gruppi trans- e inter-sessuali ha redatto un documento per la riforma della legge transessuale (TSG) del 1981. Chi è  volesse sostenere questa riforma, può sottoscrivere una petizione il cui testo può essere letto qui.

Di transessualità e intersessualità se ne parla sempre e ancora in termini di maschile, purtroppo.

Così come l’ omosessualità femminile, la transessualità dal femminile al maschile sono – non solo in Italia- ancora campi fortemente tabuizzati, zone buie che troppo poco vengono raccontate o narrate. Era il 2009 quando a Berlino conobbi Tom. Me ne sono in qualche modo innamorata, una persona sensibile, precisa, amorevole ma nel contempo anche molto riservata. Tom mi propose di girare un piccolo documentario su di un Transmann, una persona che avesse deciso di cambiare sesso o, meglio, di rinascere finalmente nel corpo giusto, sottoponendosi ad una serie di cure ormonali. Me lo propose dicendo che sapeva che avrei capito e avrei avuto la sensibilità necessaria per approcciare un tema del genere. Ci demmo appuntamento per un primo colloquio conoscitivo con il/la nostr* protagonista in un bar della scena transgender berlinese. Quando mi trovai di fonte J. non capii. I due parlavano e parlavano e raccontavano di cose a me ignote. Non ero nata sotto un cavolo, anzi, mi ritenevo alquanto informata in termini di transessualità, e non solo perchè ero una gran fan di “IN EINEM JAHR MIT 13MONDEN” di Rainer Werner Fassbinder. Ma evidentemente non bastava: nonostante questo, non capivo. Dopo quell’ incontro con Tom e J. tornai a casa pensierosa, turbata e piena di domande. Grazie a Tom avevo potuto palpare i limiti della mia conoscenza in materia di transgener, quella sera lui mi  aveva  aperto una porta per conoscere del nuovo e allargare le mie vedute.

Cominciare a lavorare sulla biografia di J. non ebbe degli scombussolamenti emotivi solamente su di me, ma anche su Tom. Non sapevamo da dove prendere la sua storia e come cominciare a raccontarla per non farla sembrare banale. Di quel progetto conservo ancora le Mini-DV ed ho pensato di trascrivere un pezzo della prima intervista che o condotto con J., un incontro molto privato con un* dolcissim* ragazz* dai capelli rossi  in cui lui mi raccontò molto di sé, aprendomi il suo cuore, facendomi capire quanto fosse stata banale la mia prima reazione. Banale e ignorante, anche se -purtroppo- condivisa da molti noi che credono di conoscere i propri Mit-menschen (gli esseri umani a sé vicini) e invece nuotano in una mare di stereotipi, luoghi comuni e etichette. Etichette che non contemplano la possibilità di andare oltre il maschile e il femminile, dove v’ è molto di più, molto altro.

 

(Intervista, versione integrale, Parte 1- Febbraio 2010. Nel box qui accanto trovate il film documentario “Meine Seele at kein Geschlecht”, ve lo consiglio!)

Hai nostalgia della tua infanzia?

Nostalgia della mia infanzia, certamente ho nostalgia della mia infanzia. Nostalgia … diciamo che penso spesso alla mia infanzia. Molto spesso.

 

C’ è qualcosa di particolare nella tua infanzia di cui ti ricordi?

Tutto era speciale e particolare nella mia infanzia. Era speciale semplicemente per me, ma credo che così sia per ciascun* di noi. A dodici anni volevo scrivere la mia prima autobiografia ma poi ho pensato che non fosse ancora il momento di farlo (ride).

Scherzi a parte, sono molto legat* alla mia infanzia e i miei più cari amici lo sanno perchè li importuno spesso con i racconti delle mie avventure e fantasie di allora. Da bambin* fantasticavo spesso e devo dire che i miei sogni sono poi diventati quasi tutti realtà. Di questo sono molto felice. Non so come possa esser accaduto ma ha funzionato!

 

Per esempio?

Per esempio da piccol* non avevo molti amici. Sono cresciut* in un paese minuscolo in cui c’ erano solo pochi bambin* e nessuna possibilità di scelta. Certo c’ erano un paio di persone con cui me la intendevo, ma devo dire che la maggior parte del mio tempo la trascorrevo in solitudine. Nel periodo della pubertà mi sentivo estremamente sol*. Amici veri, con i quali parlare dei miei problemi, non ne avevo. In quel periodo non andavo per nulla d’ accordo con i miei compagni di classe e mi sarebbe piaciuto parlare con qualcuno di come a scuola mi prendessero in giro facendomi del mobbing. Purtroppo non era possibile, non conoscevo nessuno che mi desse l’ impressione di potermi ascoltare o capire. Ero quasi completamente isolat*. Allora sognavo d’ avere degli amici come sarebbero piaciuti a me. Andavo sempre sotto ad un grande albero di pere che si trovava su di un piccolo pendio montagnoso vicino al paese: là mi sentivo in pace, al sicuro e potevo rilassarmi, ritornare a me stess*, chiedermi chi sono e di cosa ho bisogno, senza perdermi di vista. Mi chiedevo come avrei voluto vivere, fantasticando  sulle possibilità. Ero consapevole del fatto che fossero solo sogni e non la realtà ma mi erano indispensabili perchè mi confortavano e tranquillizzavano molto. Fingevo soprattutto di avere degli amici che apprezzassero ciò che avevo da dire e che ridessero delle mie battute. Sognavo di avere anche amici con i quali litigare, perché no? Guardando la mia vita di ora non posso che rimanere a bocca aperta. Oggi ho esattamente gli amici che allora sognavo e ho incontrato proprio quelle persone che tanto desideravo avere al mio fianco: persone da amare e con cui condividere i propri cattivi e buoni momenti. Da piccol* non sapevo dove avrei voluto andare, sapevo solo che dovevo lasciare quel paese, uguale verso quali luoghi, via! Altrove! Per trovare altre persone, un’ altra famiglia diversa da quella “di sangue”, una famiglia “dell’ anima”.

 

Perché? Non andava bene la tua famiglia di sangue?

Non mi sono sentit* capita nella famiglia da cui provengo. Non ho un cattivo rapporto con i miei genitori, però non mi sentivo capit*. Ok, è vero, provare qualcosa del genere è tipico dell’ età adolescenziale. Il fatto è che io non mi sono sentit* capit* nemmeno durante la mia infanzia. Forse ciò aveva a che fare -tra le altre cose- anche col fatto che ero nat* nel corpo sbagliato e che già all’ età di tre o quattro anni sentivo questa cosa e pensavo: “Ok, non lo posso raccontare a nessuno,   crederanno che sono completamente pazz* e mi rinchiuderanno da qualche parte”. Avevo proprio pura, così piccola, che mi portassero via. Non so come, ma sapevo che alcune persone potessero essere internate o portate altrove perchè dicevano delle cose che che nessuno capiva o poteva capire. Ho pensato spesso di essere un bambino – un maschio insomma- non mi posso ricordare di tutto, ma lo so. A tre anni per esempio mi davo spesso dei nomi di fantasia, maschili. Mi chiamavo a volte Bobby a volte Samuel e per me era chiaro che ero un bambino.

Tra i sei e i sette anni ero molto religios*. Le mie prime letture sono state la Bibbia e pochi altri libri degli anni 50 e 60 di mio padre. La mia famiglia non andava in chiesa ma io sì, ci andavo di mia iniziativa, da sol*, perchè lo volevo. Mi ricordo che spesso mi immaginavo che Gesù mi facesse visita e io gli parlavo. Parlavo con lui e con Dio e per me in quel momento della mia vita, in cui ero molto credente, si poneva la domanda: “Come può essere che io in realtà sia un ragazzino ma il mio corpo (o tutte le persone intorno a me dicano che esso) sia femminile? Che tutti dicano che io non sono quello che sono? Che tutti mi trattino come una ragazzina? Che io venga cresciuta e educata così anche se non lo sono?”. Così ho creduto che si potesse trattare di un compito speciale che Dio mi avesse dato: “Nonostante io sia un ragazzino devo TENTARE di vivere come se fossi una ragazzina”, mi dicevo. Che cosa significasse “essere una bambina o una ragazzina” non lo sapevo, ma evidentemente dovevo provare ad esserlo. Dovevo dare il mio meglio perchè questo compito molto difficile mi era stato impartito da Dio stesso.

A quell’ età credevo anche nella reincarnazione. A sei o sette anni mi ricordavo di cose che non avevo vissuto in questa vita e dunque sapevo di averne già vissuta un’ altra. In base a questi ricordi,  nella mia vita precedente ero stata un ragazzo. E così mi ero pensat* la teoria che le due cose si alternassero: una volta si nasceva bambino e un’ altra bambina. Tra me e me mi dicevo: “Forse deve essere così, forse devo essere per forza una bambina perchè prima ero un bambino e quando morirò nascerò di nuovo nel corpo giusto. Forse morirò presto, forse non devo nemmeno vivere a lungo e quando muoio rinasco finalmente bambino. Ok, quindi se questo è il patto, devo solo avere pazienza e dare il mio meglio, che tanto prima o poi muoio e rinasco in un corpo in cui mi sento a mio agio”.

(Ride) Non ero matta: nel frattempo mi sono informato e documentato su questa cosa e pare che molti bambini e bambine al mondo possano provare esperienze di questo tipo, ossia ricordarsi di cose o esperienze accadute in un’ altra vita. (Nulla di tutto ciò è stato ancora scientificamente provato, si tratta di qualcosa che ha a che fare con la propria fede personale e io credo -oggi come allora- che la reincarnazione sia possibile).

Crescendo mi sono accort* di quanto questo compito fosse difficile ed estenuante. Credevo che non cel’ avrei mai fatta e non sarei mai stat* capace di piacere a tutti. Avevo due fratelli e pensavo spesso a quanto sarebbe stato bello avere una sorella di modo che fosse lei a sovraccaricarsi della responsabilità della figlia femmina e io potessi essere semplicemente ciò che ero e mi sentivo di essere, senza dovermi omologare a questa “cosa della bambina”. Purtroppo però questa sorella non cel’ avevo e qualche volta penso anche che sia stato meglio così perchè i miei genitori avrebbero forse potuto dirmi: “Guarda tua sorella, com’ é, perchè non puoi essere anche tu come lei?”. Ad ogni modo io ci ho sempre provato a essere una ragazzina, mi ci sono sforzata. Ho osservato le altre ragazzine, quello che fanno, le loro preferenze. Nella fase dei Back Street Boys, ad esempio, li ascoltavo pure io- anche se mi annoiavano- e visto che mia cugina Katherina aveva la camera tappezzata con i loro poster, avevo incollato un poster loro anch’io alla parete della mia stanza, ma senza dare rilievo alcuno alla cosa, senza passione.

La mia ossessione era che dovevo assolutamente piacere ai miei genitori. I miei genitori dovevano essere felici e non avrei mai voluto vedere mia madre piangere a causa mia, per esempio perchè non volevo una giacca che lei invece avrebbe voluto assolutamente comprarmi. In queste occasioni mi sentivo malissimo perchè avevo la sensazione che lei sarebbe scoppiata in lacrime se le avessi detto di no. Pensare alla sua tristezza mi rendeva tristissima…e allora mi sono adattata e mi sono sforzata di comprare ciò che lei sceglieva per me. A casa poi, pian piano, riuscivo a convincerla che volevo i pantaloni. Quei vestiti da bambina mi schifavano semplicemente. Avrei voluto tagliarmi i capelli, avevo dei capelli lunghissimi e rossi (che io odiavo e che mia madre trovava stupendi). Ma anche quello non ho potuto farlo. La cosa buona era che anche i miei due fratelli non avevano i capelli cortissimi. Allora mi ero pensat* di essere un ragazzino un po’ hippy per convincermi che in fondo quei capelli non erano male. A undici anni  mi sono tagliata una frangia cortissima e mia mamma mi ha colta sul fatto. Non gliel’ ho mai detto che in realtà avrei voluto tagliarmeli tutti quei capelli perchè le tre settimane successive parlò solo di quella frangia e di quanto fosse stata una sciocchezza tagliarla. Sentirla lamentarsi ogni giorno é stato per e un grande stress psicologico. Da allora non ho avuto più il coraggio di mettere mano alla mia chioma fino a che non sono andat* via di casa. Ma anche lì, non ho mai osato tagliarli più in là di una certa lunghezza. La prima volta che ho tagliato i miei capelli così corti (si tocca i capelli cortissimi e rossi) è stato quando ho cominciato a prendere il testosterone.

 

A quanto pare tua madre era molto orgogliosa di avere una figlia “femmina”…

Sì, credo proprio di sì. Sua sorella-mia zia- aveva anche lei un figlio e una figlia. Katherina, mia cugina, era proprio una bambina “vera”. Stranamente poteva giocare a calcio e portare i capelli corti – cose che a me erano proibite- ma era estremamente diversa da me perchè i suoi desideri da bambina partivano da lei. Voleva andare a danza, fare questo o quello mentre io venivo semplicemente trascinat* da una parte e dall’ altra e dovevo provare a fare le stesse cose che invece lei sceglieva da sé.

A tre anni, ad esempio, mi hanno mandata al corso di danza. All’ inzio non capivo proprio di quale strano gruppo si trattasse. La mia madrina -Martina- mi ha regalato per l’ occasione un bellissimo completo verde, body e legging con un qualche disegno davanti, di cui ero molto orgoglios*…fino a che non sono andata alla prima lezione. Fu una tortura.

La danza in sé non mi piaceva né tanto meno essere solo tra ragazzine o meglio bambin* che all’ apparenza sono ragazzine, ciò che poi ess* in realtà siano non lo sa davvero nessuno. Un luogo in cui era vietata la partecipazione ai miei fratelli mi sembrava già alquanto strano e mi si è acceso un campanello d’ allarme in testa che si è trasformato in panico quando l’ insegnante ci ha mostrato i tutù rosa che avremmo dovuto indossare dalla lezione seguente. Io mi sono dett* : “No, mai e poi mai, il rosa è un colore per bambine ma io non sono una bambina”. Assurdo no? A tre anni sapevo benissimo di non essere una ragazzina e mi rifiutavo perentoriamente d’ indossare qualcosa di rosa!

In quell’ occasione ho pianto davvero tanto, è stato un vero dramma, la seconda lezione non volevo proprio entrare nella palestra. Ho puntato i piedi ed ho cominciato ad urlare in preda allo sconforto e mia madre ha deciso di fare marcia indietro e riportarmi a casa.

Avrei sempre voluto giocare a calcio e imparare a suonare la batteria ma i miei genitori stranamente mel’ hanno sempre proibito. Credo che avessero già un’ idea, non sono scemi, probabilmente sospettavano qualcosa o si erano accorti che io non mi lasciavo inscatolare nell’ “essere ragazzina”. Avevano capito ma non sapevano come comportarsi o come spiegarsi la cosa. Di sicuro avevano paura e basta, chiaro no? Viviamo in una società in cui ci viene detto che esistono solo donne o uomini. Così ci viene spiegato perchè è più semplice. Attraverso questa riduzione binaria possono svilupparsi strutture di potere e di dominio, lo sappiamo ormai tutt*. Il più delle volte solo gli uomini ad essere considerati “i migliori”, anche se dalla rivoluzione francese in poi abbiamo assistito ad uno sviluppo per cui si vorrebbe raggiungere la parità tra donne e uomini, cosa che non è detto sia né già raggiunta né tanto meno buona in sé…No? Che ci siano più di due generi- più di due sessi- è ormai chiaro, i miei genitori però non lo sapevano, nonostante mio padre fosse insegnante di biologia. Purtroppo ai suoi tempi non ha potuto apprendere qualcosa del genere durante i suoi studi. Certo, sapeva che poteva accadere che alla nascita un* bambin* poteva presentare degli organi sessuali poco definiti o sviluppati anche internamente, quello che forse non gli era chiaro è che qualcosa del genere accade molto spesso e con estrema frequenza. Quando accade i medici stessi non sono abbastanza preparati e operano la/il  noenat*, credendo di fare qualcosa di benefico per la/il nascituro. A volte in questi casi i genitori stessi sono tenuti allo scuro della cosa, tanto sembra naturale la riduzione della pluralità dei sessi a due soli. E quando ne vengono a conoscenza, i genitori si rimettono al consiglio dei medici. É una parte della medicina che deve assolutamente cambiare. Oggi anche mio padre è dell’opinione che non si debba operare il/la neonata ma lasciarl* crescere e decidere da sol* rispetto alla sua identità.

Immagina: sarebbe come se permettessero di tagliarti il mignolo di una delle due mani…forse sarà vero che un giorno deciderò io stess* che non mi serve, ma lo devo decidere io. Un* bambin* che nasce con più organi sessuali ed è san*, perchè dovrebbe essere privato di uno dei due? Chi lo decide? Sta scritto anche nella costituzione che è contro i diritti umani fondamentali…

I miei genitori l’hanno comunque notato che io non ero così come una bambina dovrebbe essere e che mi sviluppavo in maniera differente rispetto a quel modello.

Con le loro proibizioni credo che abbiano cercato di frenare questo processo o di riportarmi nella direzione “giusta”.

 

Come hai vissuto il tuo sviluppo sessuale e la tua pubertà?

Ho semplicemente oscurato molto. Le mestruazioni sono arrivate a 12 anni. Prima che arrivassero avevo avuto la mia prima ovulazione e me ne sono accort* la notte. Ho creduto che si trattasse della mia prima polluzione. Ho sperato di avere dei testicoli interni e che tutto ora si stesse sviluppando nella direzione da me sperata. L’ ho raccontato a mia mamma sperando che mi dicesse che queste perdite bianche non fossero assolutamente normali per una ragazzina. Era la mia ultima ancora di salvezza, anche se di anatomia sapevo gran poco (ride). Mi andava bene qualsiasi cosa, tranne essere una ragazzina. Quando poi  è arrivato tutto come doveva – mestruazioni e sviluppo dei seni- ho sempre provato a vederci il lato positivo. Ok, nelle mestruazioni ci potevo vedere poco di positivo, le ho dovute prendere a pacchetto chiuso, ma mi son detta “non ci sono, punto”. Chiaramente ho dovuto occuparmici quando arrivavano (ride), ma per me in qualche modo non esistevano, oscuravo la cosa.

Per quanto riguarda la crescita dei seni, ho sempre pensato “Se mi trrovo un fidanzato almeno ci si può divertire qualcuno” (ride), no scherzi a parte, alla fine rimanevano sempre le mie tette, chiaro, però cercavo di vederci qualcosa di divertente nel fatto che fossero cresciute in modo improvviso. In generale, amo le tette, le trovo belle sulle altre donne, ma non su di me.

Ho provato a consolarmi osservando il fatto che ad esempio il mio fratello più grande, un po’ cicciottello, o alcuni ragazzini in piscina avevano anche loro le tette…ma perchè erano grassi (ride), io non ero grassa. E così anche lì ho provato semplicemente ad ignorarle. Ho cercato d avere tutto il tempo un paraocchi, come se guardassi in un tunnel: esistevano le mie braccia,  le mie gambe e la mia testa, niente di più.

Dall’ altro lato ho provato a vivere come una ragazzina, a trovare il lato positivo della cosa. Quella era la parte di me che mi permetteva di usare assorbenti o indossare un reggiseno, anche se a volte avrei voluto semplicemente fasciarmelo questo seno,di modo che fosse piatto. Indossavo spesso maglioni e magliette larghe che non marcassero le mie form e qualche  volta a scuola sembravo proprio un ragazzino. Ci sono state anche delle fasi però in cui indossavo dei vestiti femminili, per fare un piacere a mia madre, ma non mi ci sono sentit* a mio agio in quegli abiti.

Un giorno ho trovato un vecchio orologio da polso del nonno nel suo comodino. Era un orologio da uomo, pesante, d’ argento, scassato e fermo da anni. Lo trovavo stupendo ed ho cominciato ad indossarlo e mi sentivo così maschile, così bene. Un giorno arrivò mio padre con un orologio piccolo, argentato, in funzione e da donna dicendo che avrebbe preferito che io indossassi quello. E io lo feci perchè amavo mio padre e volevo piacer anche a lui a tutti i costi. Avevo quattordici anni. A diciassette anni me ne sono andat* da casa e negli anni compresi tra i diciotto e i ventuno mi sono dett*: “Ok, è già da sempre così” poi ho visto dei servizi in TV sul tema trans e mi sono chiest* se ero “Transident”. A quel punto ho cominciato a prendere ormoni e un giorno non so più quando ho chiamato mio padre al telefono o lui me e lui dal niente mi ha detto: “Scusa se quella volta ti ho comprato quell’ orologio”. Ecco, probabilmente sapeva benissimo perché me lo regalava. Che lui si sia scusato e che abbia capito la mia sensibilità e quanto lui con quel gesto l’ avesse ferita, è stato per me e per lui un grande traguardo.

Ad ogni modo, si pensa sempre che la componente trans, il prendere gli ormoni e così via -cosa che di sicuro  è stata una parte importante della mia vita- sia il fattore rivoluzionario e decisivo in una biografia come la mia. In realtà non è stato così. Certo, ha apportato un cambiamento alla mia vita ma credo ce ciò che davvero l’ ha cambiata sia stato il fatto che me ne ero andat* da casa, da quel paese. É stata la decisione migliore che potessi prendere. Ero depess*, stavo malissimo, non vedevo alcun futuro per me ed ero davvero a rischio di suicidio. Me ne dovevo assolutamente andare. In quel periodo, era il 2002, trascorrevo molto tempo in un forum lesbo nel quale conobbi Iris. Iris abitava a Berlino, che per me non era proprio la meta ideale, piena di cantieri e nulla più. Un giorno sono andat* a trovarla e ho deciso di rimanere.

Livia Fiorio