Marina da Sydney continua il suo racconto che noi leggiamo con particolare coinvolgimento. Dell’Australia così lontana qui sappiamo pochissimo e ci fa piacere conoscerla attraverso lo sguardo della nostra corrispondente.
Vi segnalo la guida “Vivere e lavorare in Australia” dal sito italiansinfuga.

Vi scrivo da Sydney, dove ancora continua nel rettangolo di Martin Place la protesta “Occupy Sydney”, in solidarietà con le manifestazioni di tutto il mondo.
Ci sono circa cento persone stasera a Martin Place, composte, non chiedono risposte facili ma chiedono un cambiamento. Io li guardo e penso che la crisi sia altrove ma li ammiro per come si impegnano anche se minimamente toccati dal tracollo mondiale.
Li ho intervistati per l’emittente australiano per cui lavoro, c’è gente di tutte le età, ma i più numerosi hanno circa trentanni e vogliono un futuro senza caste – potete ascoltare un’intervista a questo link se volete  http://bit.ly/nbanCI, o vedere alcune  immagini a quest’altro http://on.fb.me/paaQaq.

Ma di cosa si lamentano? Qui tutto funziona, mi dico. O forse no? E inizio a pensare alle donne che cercano lavoro.
Poi a casa, vedo la mia coinquilina e capisco. Come spesso accade, le notizie migliori si trovano bevendo il caffè in soggiorno mentre si scambiano due parole con i coinquilini, che ti raccontano come si cerca lavoro dopo i 25 anni da cittadini australiani.
La mia amica Laura, ventisettenne Australiana, nata da una famiglia greca, fa la designer e lo fa bene. Ha lavorato a Sydney, New York e Londra e ora e’ ritornata in Australia, a vivere con noi insieme al suo fidanzato. È tornata dopo aver viaggiato due anni per il mondo, ma al dito ha deciso di mettersi un anello, che tra sei mesi la porterà a dire sì ad Alex, australiano, video producer.
Laura vuole un lavoro. Lo cerca, non lo trova. Si iscrive ad un’agenzia interinale, che la spedisce settimanalmente ad uffici diversi per colloqui. Laura si prepara, si mette una gonna a fiori, una maglietta, i capelli ricci neri li lascia sciolti e sospirando inforca la porta di casa una mattina sì e una no.
Ritorna si butta a letto e alla mia domanda su come sia andata, risponde “I don’t know…We’ll see.” Laura non è sola, appartiene a quella categoria di donne giovani con anello al dito che i datori di lavoro mettono alla prova.

In Australia non è illegale chiedere ad una donna, durante un colloquio, se intenda avere figli o quale sia la sua età, ma è illegale respingere un’assunzione sulla base della risposta perchè diventa discriminazione.
Ma ci sono tuttavia altri modi piu sottili per far crollare la sicurezza professionale di un’aspirante impiegata. Basta chiederle “So, do you want to settle down?” Traduco: “Vuoi mettere la testa a posto? Vuoi sistemarti?” Ed è questo che capita a Laura.
Ne ho parlato con l’avvocato ai diritti dei lavoratori, Gabriella Marchetti, che lavora per l’ente a tutela dei diritti dei lavoratori, Job Watch,  nello stato del Victoria in Australia.
“Le cifre per questo tipo di episodi sono piuttosto basse,” spiega Marchetti. “Un sacco di donne non si lamentano o perchè lì per lì non vogliono rispondere male durante un colloquio, o perchè anche qualora non ottengano il posto tendono a dubitare di loro stesse prima che della selezione.”
Un portavoce della Commissione Australiana Per I Diritti Umani mi conferma poi quanto dichiara l’avvocato Marchetti, cioè che le statistiche potrebbero non riflettere la realtà dei fatti.

Durante il periodo 2010-2011, 770 donne australiane hanno sporto denuncia per discriminazione sul posto di lavoro; una cifra che fa comunque ben sperare se rapportata ad una popolazione di circa 22 milioni di individui.
La legge Australiana a tutela delle donne è forte e ricade all’interno della legislazione Fair Work Act. In base alla legislazione 2009 se una donna ritiene di essere stata discriminata alle selezioni per un posto di lavoro, sulla base del suo sesso e non per mancanza di qualifiche, può denunciare il datore di lavoro.
“In quel caso sarà il datore di lavoro a dover provare la propria innocenza davanti a un conciliatore,” spiega l’avvocato Marchetti. “Qualora il datore di lavoro non riesca a discolparsi, dovrebbe allora offrire o un’occupazione o un rimborso alla parte lesa. Ma è un’area non ancora veramente esplorata.”

Laura adesso lascia l’anello a casa, perchè così le hanno consigliato. I miei amici uomini dicono che per loro la fatidica domanda sul loro stato civile apra invece delle opportunità di lavoro stabile: un uomo che si sta per sposare o sposato fa una bella impressione e da garanzie di impegno. Ma per una donna la storia è diversa.
E allora se volessimo tenerci l’anello e tenere testa a chi ci mette alla prova? Cosa si potrebbe fare allora qualora qualcuno ci chiedesse “So, do you want to settle down?”
Gli esperti di JobWatch Australia raccomandano di rimanere calmi, ignorare le pulsazioni alla giugulare, il battito irregolare e il principio di rabbia canina, e semplicemente rispondere “Perchè? Conta ai fini dell’assunzione?”

Spero che queste informazioni siano utili e vi prego di rispondermi con le vostre esperienze – qualcuno vi ha mai fatto domande scomode? Come avete risposto?
Parliamone, portiamo l’argomento alla luce, perchè il nostro ERA un “sesso inutile,” abominevole storpiatura di un libro della Fallaci che spero mi perdonerete.

p.s. A chi interessa a Sydney fa 25 gradi! I delfini si avvicinano alla costa e domenica ho visto due balene stando in giardino – potete solo immaginare l’emozione dato che gli animali più esotici cui ero abituta erano i fagiani dei campi di fianco a casa. Per ricreare un po’ di campagna lodigiana ho però fatto l’orto! Sono già spuntate le zucchine: tempo di fiori fritti ripieni di ricotta, acciughe e capperi. Alla prossima colonna.

Marina

Twitter.com/marinafreri