Continuano i nostri appuntamenti con le amiche italiane che vivono all’estero. Dopo Giulia da Parigi, ecco Livia che ci racconta la sua vita da berlinese…

“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo.”
Mahatma Gandhi.

Care amiche e cari amici,
il mio nome è Livia, ho trent´anni e sono nata a Verona. Vivo a Berlino da sei anni e qui, ora, mi sento a casa.
Non me ne sono andata per motivi economici o lavorativi ma per coronare un sogno, quello di sentirmi libera e indipendente, quello di “diventare ciò che sono”.
Berlino mi ha accolta a braccia aperte e io ho deciso di prestarle l´attenzione dovuta: comprenderla, capirla, sorreggerla, accettarla -come se fosse un´amante o un´amica- nei suoi pregi e difetti. Tutto ciò non é stato semplice e -a volte- non lo é tutt´ora.
Ho imparato a dire le cose in un altro modo, a frugare tra le parole che non conosco per imporre a questo nuovo contesto la mia opinione, il mio carattere, la mia volontà, le mie radici. Ho dovuto re-inventarmi ogni giorno, in tutti i sensi.
Le mie battute di spirito improvvisamente non facevano ridere, i miei titoli accademici non erano titoli, per qualsiasi tipo di lavoro é stata necessaria una lunga gavetta e non posso neancora dire d´avercela fatta!
Dietro di me una carriera da: pizzaiola, centralinista, insegnante d´italiano, traduttrice, cameriera, donna delle pulizie. Cinque tirocini redazionali, esperienze di giornalismo on-line e, finalmente, la grande possibilità di poter lavorare nell´ambito del film documentario.
Ci sono volute tenacia e pazienza e la capacità di riuscire a mettersi continuamente in discussione, porre dei limiti a se stessi e agli altri, vedere più in là dell´oggi, dire più volte “basta!”, con una grande fiducia nei propri progressi quotidiani.

A Berlino sono diventata una donna e tutto ciò, anche se i toni della mia lettera possono suonare tutt´altro che spensierati, ha avuto anche dei bei vantaggi!
Ho imparato a non abbassare la testa, ho rispolverato la mia infantile impertinenza e ho espresso i miei desideri a voce alta, senza dovermene vergognare.
Ho trovato un compagno di vita rispettoso e generoso che si è impegnato nell’ascoltarmi e nel cercare di capirmi, indipendentemente da quale lingua io parlassi. E lui ha trovato me, in un reciproco scambio di libertà e lealtà, frutto di ibridazioni interculturali e rivisitazioni di vecchi modelli.
Il tutto è costato molta fatica ma ne è valsa la pena!

“Indietro non si torna” mi sono detta nei momenti peggiori e ciò mi ha aiutata a tener duro per riuscire pian piano nell´impresa dell´integrazione culturale. In tutto questo i miei genitori, mia sorella, la mia famiglia e gli amici, emigrati e non, mi hanno sorretta e amata, in modo incondizionato, cercando di comprendere anche ciò che non potevano. I loro occhi, i loro abbracci, la loro voce, il loro profumo, le risate, spesso mi mancano. Ma loro ci sono stati comunque, cel´hanno fatta. Cel´ho fatta. Eh sì, posso dirmi proprio fortunata!
Credo di aver superato entrambe le due fasi: quella dell´orgoglio, rispetto alla propria italianità, e quella dell´atroce vergogna, provata di fronte all´ arretrata situazione politica e culturale in cui versa l´Italia contemporanea.
Non amo la retorica dell´immigrata in fuga né, tanto meno, quella della nostalgica.
Da tempo mi sento una giovane donna europea e mi piacerebbe poter vivere in modo libero e indiscriminato in questo spazio politico, economico, linguistico e culturale detto Europa.
In realtà mi piacerebbe che tutti potessero farlo in tutto il mondo…dimenticavo, sono un´idealista!
Guardando alla mia stessa biografia mi rendo conto di quanto ci sia ancora molto da fare per acquisire diritti, strutture, leggi (e apurtura d´orizzonti) europee, che valgano per tutti e ovunque in Europa.
Com´é che l´altroieri la Rai ha censurato completamente una puntata della fiction tedesca “Um Himmels Willen” dal titolo “Romeo e Romeo”che  raccontava il matrimonio fra due uomini? Perchè in Italia molte donne vedono la maternità come una piaga e un peso sociale?
Cosa spaventa una donna tedesca dall´avere dei figli (desiderati) in un paese noto per il suo efficiente Stato Sociale ma in cui l´economia e l´etica del lavoro (maschile) inaridiscono i rapporti tra esseri umani? Perché molti uomini tedeschi si dicono in crisi e disorientati? E quelli italiani?
Precarietà, discriminazione, razzismo: sono parole che vanno dette perchè in Italia, come in Germania, sono termini che hanno un referente nella realtà, nei fatti, nelle relazioni.
Se l´Italia é campanilista, l´Europa é troppo spesso ancora fortemente nazionalista.

Di fronte a tutto questo la nostra generazione, quella degli anni´80, sembra anestetizzata e in preda ad uno stato d´inedia. Troppo impauriti dall´instabilità economica, lavorativa, dalla indefinitezza delle prospettive e dei piani di vita personali, spesso ci scordiamo che le rivoluzioni, i miglioramenti, i cambiamenti democratici non piovono dal cielo, ma cominciano dalla propria più banale quaotidianeità.
A Berlino come a Vienna. A Roma come a Madrid. Ad Atene come a Oslo c´é ancora tantissimo da fare. Anche noi, giovani donne e giovani uomini europei, siamo responsabili per questo spazio intero.
Godiamo della mobilità, perchè non iniziare anche a godere del nostro senso civile e del nostro coraggio nel voler cambiare tutte queste cose che tanto ci dan tormento?
C´è chi vuol restare e chi vuol partire: l´importante è, in entrambi i casi, non percepire la propria scelta come un obbligo. Su questo dovremmo lavorare tutti insieme.
Credo fortemente in quella che Leopardi chiamava “la social catena”, forse la “rete”-internet- potrebbe esserne il corrispettivo contemporaneo più vicino.

Cercherò di scrivervi da Berlino le mie esperienze di vita, ciò che di bello e di brutto, di buono e di malvagio, di positivo e negativo vedono qui i miei occhi.
Vorrei rendervi partecipi delle storie delle bellissme persone che ho incontrato in questa città e raccontravele al maschile E al femminile E al neutro.
Per esperienza sono convinta che la comunicazione sia il terreno da cui possono nascere le idee più creative e coraggiose.
Vi racconetrò di me e sarò lieta di sentire anche ciò che voi avete da dirmi perchè, nonostante io abbia scelto Berlino, dell´Italia non mi sono dimenticata e vorrei continuare a prendermene cura, on e off line.

Per ora vi lascio con un primo breve racconto, per soddisfare la curiosità di coloro che si sono chieste o chiesti come sono capitata in questa città.
Vi abbraccio forte!

Livia

 

Ho conosciuto Luisa e Caterina (successivamente da noi detta Frau Caterina) nell´allora Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze “Ca´Nani Mocenigo”. Entrambe piú basse di me di due spanne, entrambe di tre anni piú giovani di me.
Luisa, frappé alla frutta: viso tondo, grandi occhi azzurri, capelli forti e biondi, maglione a righe arancioni  e verdi, pantaloni a zampa in jeans, una specie di Janis Joplin de Nojaltri.
Frau Caterina, il suo opposto: schiva e composta, lineamenti marcati, sguardo intenso e agghiacciante, una presenza seria e riflessiva, l´unica tra noi ad avere una meta sicura: Berlino.
Il professore di filosofia teoretica la portava in palmo di mano per questa sua tenacia e chiarezza d´inenti. Gettando uno sguardo fugace sulla sua sfilza di 30 e lode, si strofinava le mani al pensiero che l´ennesima adepta del nostro corso di studi avrebbe potuto portare a termine l´ennesima tesi di laurea su Heidegger e -perché no- l´occultismo nazista (guadagnandosi in tal modo l´ennesimo aiutino per il dottorato di ricerca).
“È la Germania la patria dei grandi filosofi! Cosa volete andare a fare in Francia o in Spagna? In Germania si pensa veramente: Husserl, Habermas…e naturalmente Heidegger!”.
Il nostro professore era un uomo d´immensa cultura e innamorato della propria materia in un modo, oserei dire, assoluto.
Io e Luisa lo guardavamo con occhio torvo e critico; dal canto nostro ci sentivamo solo un po´spaesate e indecise e quel blaterare dagli accenti carrieristico-intellettuali faceva poco piglio su di noi che eravamo alla ricerca di esperienze e di vita.
Come Caterina, avevamo ottenuto una borsa di studio Erasmus, impresa non impossibile nell´Italia del 2004. Con grande probabilitá, eravamo addirittura le uniche candidate dato il bonus della doppia opzione: Parigi/Berlino per me, Berlino/Saragozza per Luisa.
Non ero mai stata né a Berlino né a Parigi ma da qualche anno mi sentivo inspiegabilmente come una delle protagoniste femminili dei film di Èric Rohmer e fantasticavo di poter passeggiare lungo la Senna al chiaro di luna. Luisa, invece,  mi parlava di sole, calore umano e del suo entusiasmo per il corso di lingua spagnola che stava frequentando.
Nessuna di noi due ha scelto la strada piú semplice e coerente.
Nel giro di una settimana avevamo accettato la sfida e, da brave alleate di Frau Caterina, ci buttavamo a pesce sul corso di lingua tedesca base tenuto da Frau Götz , per riuscire a cavarcela un minimo in terra teutonica.
“Bisogna tuffarsi in acqua per imparare a nuotare” ci ripeteva il nostro professore ogni volta che andavamo al suo ricevimento per farci approvare da lui dei nuovi documenti.
Bussavamo, entravamo timidamente, come tre geishe giapponesi dai piedi fasciati , facevamo due moine, tre sorrisini e cercavamo di ripetere il piú volte possibile “Grazie”, “Ovvio”, “Certo” e “Per favore”.
Dall´altra parte della scrivania il professore ci guardava da dietro gli occhiali, con aria autoritaria, paterna e benevola e, pregandoci di accomodarci, sfoderava un paio di Dasein e tre Weltanschauung davanti alle quali noi, pietrificate, non potevamo far altro che star zitte e allungare il primo foglio da compilare. Lui firmava distrattamente, ancora in preda alla sua, per altro interessantissima, rapsodica logorrea post-esistenzialista. Quello era l´essenziale per noi: la sua firma. Tutto il resto, sapevamo giá, avrebbe subíto una rivoluzione paradigmatica dopo l´esperienza di Berlino.
E cosí cresceva l´attesa: leggendo Salam Berlin, imparando la declinazione dell´articolo determinativo e facendoci incoraggiare dal Dio assente.
“Allora, ho prenotato il volo” mi dice Luisa dall´altra parte del telefono, con un tono un po´ sospetto. “Bene” rispondo io “Quando si parte?” “Eh” incalza lei “Eh cosa?” “Spero che tu non sia scaramantica” “Cosa? Dimmi?” “So che é un giorno strano…peró il volo era in offerta da Air Berlin…c´erano un sacco di posti disponibili”.
È cosí che l´11 settembre del 2005 arrivammo a Berlino, Luisa e io.
Aereo puntualissimo, autobus TXL puntualissimo, coincidenza a Uhlandstraße puntualissima.
La U1 ci sballottolava di qua e di lá. Io tenevo stretta la mia valigia arancione tra le ginocchia e osservavo gli altri viaggiatori intabarati nei loro vestiti neri.
Il tutto non traspirava apertura e comunicazione ma un´enorme concentrazione, come se le persone sedute sulle panche del vagone fossero intente a prendere fiato e sciogliere i nodi di un paio di pensieri ingarbugliati, prima di ributtarsi in questa cittá grandissima.
Siamo scese alla fermata della metropolitana di  Schlesischestor in tarda mattinata.
Era domenica.
Un´esplosione di colori metropolitani, avvolti da un´atmosfera ancora addormentata.
Trascinando la mia valigia pesante lungo il marciapiede ho pensato tra me e me: lo so, mi fermeró. Mi sentivo rinascere. Mi sentivo entusiasta, viva, vera.
Accompagnata da parole incomprensibili ma pronunciate con tono rispettoso e attento, incuriosita dai carrelli pieni di vuoti a rendere, incantata dalla polifonia dei rumori e silenzi della strada, dai palazzi alti, dalle tante coppie giovani che accopagnavano i loro bambini all´adiacente Görlizter Park, sono arrivata come immersa in una bolla di sapone davanti alla porta della Görlitzerstr. 38.
Ci ha accolte Federica, intenta a rassettare la cucina ascoltando la Deutsche Rundfunk: “Benvenute a casa!” ci ha detto e ha messo a bollire l´acqua per un the.

 

Livia Fiorio,laureata in filosofia presso lUniversità degli Studi Ca´Foscari di Venezia con una tesi su cinema e filosofia, attualmente sta completando i suoi studi in produzione cinematografica a Berlino. Con altre tre donne sta lavorando ad un progetto documentario sugli sviluppi del femminismo in Italia e sull´ Italia delle donne. Aborre: qualsiasi tipo di violenza, ingiustizia e oppressione. Desidera: raccontare delle storie e farlo attraverso un utilizzo etico del film documentario, diventare mamma, insegnare e imparare il significato della parola “rispetto”. Crede: nella valenza politica della pedagogia, nella forza rivoluzionaria della comunicazione e nella lotta non violenta.