Immagine 1Il Corpo delle Donne è un documentario sull’uso del corpo delle donne nella tv italiana.

Il Corpo delle Donne ora è un libro, o meglio uno strumento, che innalza il nostro livello di consapevolezza. Contiene due interessanti capitoli su come guardare la tv con nuovi occhi. Offre spunti di resistenza pratica e di cambiamento.

Tempo fa qualcuno di voi ci chiedeva perché non lanciavamo una campagna di raccolta fondi per sostenere il progetto: non ci pareva giusto.

Molti ci hanno chiesto di inserire banner pubblicitari: non ci pareva giusto.

Ora vi chiedo di comperare se potete il libro: il ricavato, la parte che rimane a noi, serve totalmente a sostenere il progetto. Che significa andare nelle scuole, continuare con il lavoro del blog, e altre iniziative che verranno.

Poche utili azioni possono fare la differenza dunque:

– acquistare il libro: online costa 10 euro

– regalarlo a un’amica/o

– mettere il banner che trovate in fondo alla sidebar a destra, sui vostri blog e linkarlo ai vostri amici: il Teorema della 94 puo’ diventare il motivo conduttore di una volontà di cambiare

Il vostro supporto ora è fondamentale. Dopo questo passo, credo che sarà arrivato  il momento di organizzare degli incontri reali.

Grazie.

IL TEOREMA DELLA 94

Da anni a luglio ripeto un esperimento il cui esito finale

spero mi sorprenda ma che finora mi ha dato sempre

uguale risultato.

La 94 è la linea di autobus che collega le varie fermate

della circonvallazione interna di Milano, quella denominata

anche “la cerchia dei Navigli”; si tratta di una linea molto

frequentata, che i milanesi prendono spesso. Anche chi

usa sempre l’auto almeno una volta sulla 94 ci è salito.

Attendo una mattina quando la temperatura, quella torrida

milanese di luglio, e l’umidità sono altissime e intorno

alle undici vado alla fermata della 94, incrocio corso Italia

con via Molino delle Armi.

Salgo e mi assale il caldo opprimente, l’aria è irrespirabile,

gli abiti si appiccicano al corpo, la promiscuità con gli

altri rende il tragitto ancora più faticoso; alcune persone

intorno a me sbuffano infastidite dall’afa, altri sopportano,

remissivi e sudati.

Tutti i finestrini sono chiusi.

Mi faccio strada educatamente tra i passeggeri e, in silenzio,

comincio ad aprire il primo finestrino, parto sempre

dal fondo dell’autobus.

L’impresa non è agevole: i finestrini a scorrimento della

94, forse per lo scarso utilizzo, resistono alla spinta, io

in più devo sporgermi per raggiungerli, stando in equilibrio

per non urtare i passeggeri i cui posti sono proprio sotto i

suddetti finestrini. Posso spingere con una sola mano, altrimenti

perdo l’equilibrio: compito, quindi, non facile.

All’inizio questa mia impresa prevedeva coraggio e de-

terminazione: dal secondo finestrino in poi, infatti, tutti gli

sguardi erano su di me, alcuni interrogativi, altri impassibili,

e io mi sentivo comprensibilmente imbarazzata, mi pareva

di star facendo qualcosa di ardito o sconveniente. Ora,

dopo anni, proseguo come chi sa bene quello che fa, incurante

della curiosità provocata.

Dal secondo finestrino aperto in poi, l’interesse svagato

delle persone intorno a me diventa attenzione interrogativa,

come se proprio non si spiegassero cosa sto facendo:

come se l’apertura del primo finestrino rispondesse a

un desiderio personale di soddisfare un mio bisogno di refrigerio.

Ma l’apertura del secondo, del terzo… perché?

Con la terza faticosa apertura accade quasi sempre che

un passeggero mi si avvicini e, senza che ci sia un accordo

verbale, si sporge con me e mette la mano accanto alla mia

per rafforzare la spinta: lo guardo con gratitudine, lui pare

soddisfatto. Dal quarto in poi altri si avvicinano e, con

coraggio e una certa arditezza, pongono la mano sopra la

mia per aumentare la spinta. Finita la fila di destra, ricomincio

con quella opposta: qui il lavoro si fa spedito, alcuni

mi sorpassano e, precedendomi solerti, anticipano l’apertura.

I passeggeri seduti sotto i finestrini si alzano per

facilitarmi il lavoro. Sempre, verso la fine, qualcuno, di solito

anziano, dice a voce alta: “Era ora! Si moriva di caldo!”.

Molti annuiscono, altri confermano a voce alta.

Adesso fa un po’ più fresco, se non altro l’aria circola.

La gente non mi guarda più con sospetto, anzi, si è creato

un clima quasi complice.

E allora, finalmente, chiedo a voce alta e con sincera curiosità:

“Ma, scusate, se avevate caldo perché non li avete

aperti voi, prima, i finestrini?”. Alla domanda, negli anni,

segue sempre un silenzio tra l’imbarazzato e l’interrogativo,

dopodiché si alza una voce, solitamente maschile, che

pare riassumere la risposta di tutti: “Ma è arrivata [la 94]

così dal deposito… con i finestrini chiusi”.

Saluto con un sorriso e scendo.

Ho verificato che sulla 94, né quest’anno né negli anni

precedenti, sia mai stato esposto un cartello che vieti l’apertura

dei finestrini.