E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.

Constantinos Kavafis

A capo

A capo

Quando cito questa poesia e i “simpatici intellettuali” mi dicono con supponenza che la conoscono già, li osservo con attenzione e il più delle volte scopro, così come mi aspettavo, che la poesia in questione gli è entrata da un orecchio e gli è uscita dall’altro, senza lasciarvi traccia.

Ho imparato negli anni a cercare di non tirarmela più di tanto: giusto il minimo sindacale. E di conseguenza leggo questa poesia da tempo, la so a memoria ma la ripasso ogni tanto mentalmente. Spesso mi colgo in castagna. Ho passato anni della mia vita durante i quali, senza rendermene conto, la mia vita era diventata una stucchevole estranea: è stato un duro percorso riappropiarmene. Quando ti allontani molto da chi sei veramente, trovare la strada del ritorno è dura. Succede anche che il “ritorno a casa” corrisponda al deserto interiore o all’angoscia. A quel punto si può scegliere di continuare a portare in giro la propria vita “in balia del quotidiano gioco balordo degli inviti” o mettersi a lavorare per riavvicinarsi a se stessi. Il lavoro su IL CORPO DELLE DONNE è frutto di una conquistata e sudata capacità di concentrarsi su ciò che conta nella vita, consapevole che è molto facile morire di troppo commercio con la gente.

A capo

A capo

Dicembre e gennaio dell’anno scorso sono stati due mesi di lavoro intenso, sceglievamo le immagini e le montavamo, 14 ore al giorno. E’ stato anche un periodo di gioia pura, di lavoro come “libera espressione del sé”, di creatività che fluiva alimentata dal bisogno di rendersi utili e di agire il cambiamento. Un lavoro protetto da sguardi giudicanti: come ho già avuto modo di esprimere sono convinta che il lavoro creativo necessiti di assenza di giudizio esterno per permetterci di sperimentare in assoluta libertà.

Insomma è stato un gran bel periodo della mia vita.

A capo

A capo

Poi il documentario è uscito dalla mia pancia e dalle nostre teste ed è iniziata l’avventura che conoscete: 4 versioni in lingue diverse, decine di recensioni, dibattiti e incontri, il blog e 3 forum, il progetto formativo, “Metterci la Faccia” e molto altro.

A giorni saranno un milione le persone che hanno visto il documentario.

C’è da esserne orgogliosi e felici.

A capo

A capo

Certo spiace constatare che il Corriere della Sera, che è sito a 1 km dalla nostra piccola sede, non ha trovato modo in quasi un anno di recensire il documentario che ha fatto ripartire il dibattito sulle donne in Italia. Le Monde ha trovato tempo, il NYT pure, l’Observer anche…..

Due cose non interessano i nostri giornalisti della carta stampata: internet e i fenomeni italiani.

Avete certo notato che le ideatrici della campagna per la raccolta firme di Repubblica, sono italiane che risiedono all’estero e cio’ le rende molto attraenti per le penne nostrane. Lo dico per esperienza: quando lavoravo a Parigi era tutto un chiamarmi e intervistarmi: parbleu!

A capo

A capo

Stiamo cercando di far sì che il progetto cresca e si faccia promotore di cambiamenti indispensabili. Siamo entrati da qualche tempo nella fase di proposta esterna, di “mercato”.

Non c’è una bella atmosfera in giro. Socialmente e politicamente è evidente che non ce la passiamo bene. Ma anche i rapporti personali sono spesso scadenti, con dosi di invidia e competizione allarmanti, anche quando in gioco c’è un progetto come il nostro, che è etico e non mira al profitto.

Ho molta nostalgia del lavoro di creazione, dell’essere silenziosamente attivi, del lavorare in libertà per il bene comune.

Mi pare che gli unici per cui valga la pena di lavorare siano le ragazze e i ragazzi con cui mi trovo benissimo, che scrivono cose meravigliose, che sono puri.

A capo

A capo

Userò le prossime vacanze per pensare e ripassare  la poesia di Kavafis.

E voi riuscite a non rendere la vostra vita un’estranea?