CSC_0066_2

Approdo a Praga, alla Conferenza Mondiale di Donne Professioniste e Dirigenti, esausta, dopo questi mesi di trincea in Italia.

Ormai dobbiamo difenderci giornalmente da una tv indecente, da attacchi miserevoli a come ci vestiamo e al nostro aspetto fisico, da insinuazioni verso una presunta invidia di donne mature verso le veline.

Mai mi ero sentita caduta così in basso, così occupata a preservare il nostro diritto fondamentale ad essere rispettate come persone, come individui.

Fortunatamente da qui, le quotidiane battaglie italiane, ormai divenute un corpo a corpo per non farci usurpare anche i diritti acquisiti da anni, paiono lontane.

A capo

A capo

Nell’Aula plenaria siedono 600 donne e anche qualche decina di uomini, provenienti da 60 diversi Paesi: donne che scelgono di incontrarsi una volta all’anno per condividere opportunità e problemi e trovare soluzioni comuni.

Donne molto capaci, in grado di innescare cambiamenti, di gestire realtà aziendali importanti, di dirigere con successo organizzazioni internazionali.

I temi sono importanti: la sostenibilità ambientale, gli effetti della globalizzazione sul futuro dei Paesi emergenti, l’utilizzo della tecnologia come strumento di emancipazione nei Paesi in via di sviluppo.

Al panel di discussione a cui sono stata invitata: “Storie e Strategie raccontate da donne in grado di progettare il futuro”, Genevieve Berger racconta con passione di cosa significhi essere la Direttrice Scientifica di di uno dei più importanti centri di Ricerca e Sviluppo di una grande multinazionale, mentre Danica Purg ci affascina sul racconto di come ha costruito la più grande Business School nei Paesi dell’Est, IEDC, affrontando mille difficolta’. Prima di loro Nigel Nicholson della London Business School of Economics relaziona su come possiamo essere fautori di un grande cambiamento mondiale.

Tocca a me ma sono a disagio. Negli anni la percezione del nostro Paese all’estero è andata peggiorando: ora vengo costantemente interrogata sul motivo del silenzio delle donne italiane, sul perché non reagiamo, su come mai accettiamo di non venire rispettate. Così spiego, motivo, mi difendo. Perché proprio noi, mi domando? Perché noi italiane, che pur siamo europee, dobbiamo scontare questa umiliazione? “Avete una tv che non dovrebbe nemmeno potersi dire europea” mi ha detto una norvegese.DSC_0760

A capo

A capo

Io so bene che invece le donne italiane stanno reagendo, che sul nostro blog IL CORPO DELLE DONNE arrivano giornalmente decine di commenti di donne e uomini che protestano. So anche che alcuni quotidiani stanno reagendo con forza, che la Libreria delle Donne di Milano ha appena pubblicato un ”Manifesto del Lavoro delle Donne e degli Uomini” di cui c’è da essere orgogliosi per la lucidità di analisi e la capacità propositiva.

Ma pare ancora poco. Da qui sembriamo comunque un Paese vecchio che ancora deve risolvere la “questione di genere”: e per molti paesi civili avere una tv che non rispetta gli individui e una società che non fa distinguo tra spettacolo e politica, è indice di sottosviluppo culturale.

Perché proprio noi, ancora mi domando.

Che pur abbiamo avuto uno dei migliori femminismi in Europa, che pure siamo bravissime a barcamenarci tra lavoro fuori e dentro casa?

Facciamo appello alla Costituzione, chiediamo che le massime cariche dello Stato si occupino della questione femminile con la stessa serietà con cui trattano questioni di importanza vitale per il Paese.

Non c’è più tempo.